|
Lo scorso weekend mi sono ritrovato al pub con qualche amico britannico disadattato e, tra una pinta e l’altra, ho ancora una volta avuto il piacere di constatare quanto sia meraviglioso discutere con certe persone su come gira il mondo: ad esempio osservando intelligentemente come, anche in un quadro europeo economicamente pessimista e fatiscente, gli stati del nord Europa sembrino sempre essere quelli che se la passano meglio (vi é a questo punto chiaro che quando dico “tra una pinta e l’altra” quello che intendo veramente é “tra la pinta numero zero e la pinta numero uno“).
In effetti, recessione o non recessione, le nazioni del nord Europa sono ancora quelle che stracciano tutte le altre quando si parla di benessere, qualità della vita, felicità emotiva dei cittadini (ok, magari io non metterei proprio l’Irlanda al primo posto…).
Non solo: anche da un mero punto di vista governativo, stati come Svezia e Norvegia sono quelli che hanno il maggior numero di donne inserite nel mondo del lavoro, che propongono i migliori sussidi statali, che hanno un più alto reddito pro-capite. Anch’io ho sempre avuto l’idea personale che gli stati del nord Europa fossero quelli “civilmente più evoluti”, pur senza capirne bene il motivo.
Mi ha quindi in qualche modo dato fiducia scoprire che Dave Cameron ha recentemente incontrato in maniera “privata ed informale” (ma lui incontra tutti in maniera informale…) diversi capi di stato nordici, per cercare di carpire qualche consiglio su come rendere più snella la vecchia balena rossa-bianca-e-blu ed evolverla a livello di efficienza governativa e, possibilmente, civile. Quel che Cameron probabilmente avrà pensato nell’incontrare suddetti ministri sarà stato: “Ma come diavolo può uno Stato, in cui l’unica cosa che cresce sono le patate, avere un’economia più stabile della nostra?!” (che é poi la stessa cosa che si domanda l’Italia guardando il Regno Unito…), ma in realtà la spiegazione c’é, eccome, e potreste stupirvi nello scoprire che non é poi così “civile” come sembra…
Tutto, a quanto pare, ruota attorno alla cultura ed ai valori che in questa si danno a certe cose: ho scoperto infatti che in Svezia lo Stato “libera” la famiglia da qualsiasi obbligo verso gli anziani, che quindi possono tranquillamente essere lasciati a morire in casa (qualcuno informato mi aggiorni: in Italia il figlio ha doveri – escludendo quelli etici – verso il genitore anziano?), oppure – per chi é in vena di generosità – a prendere muffa in qualche economico ospizio statale; inoltre fornisce economici asili statali che si prendono cura giornalmente, fino ad otto ore al giorno, dell’80% dei bambini dai due anni d’età; infine, gli svedesi hanno anche un piacente ministro (che non a caso é chiamato in patria “il David Cameron svedese”) che spinge per la libertà lavorativa della donna proponendo frasi celebri quali: “E’ giusto che le donne lavorino, perché non solo così facendo aiutano l’economia, ma guadagnano anche indipendenza perché, dopotutto, non sai mai quanto il tuo matrimonio durerà” (Evviva).
Quanto, di quello riportato qua sopra, ha a che fare con i valori culturalmente significativi per paesi non-nordici? Io credo molto.
Per l’Italia probabilmente la situazione é ancora più sensibile: per lo meno nel Regno Unito se hai diciotto anni e sei maschio probabilmente vivi già fuori casa, mentre se sei femmina probabilmente stai facendo la seconda gravidanza; ma in Italia, a trent’anni, se sei fortunato, ti chiamano “bamboccione” perché non ti puoi permettere di staccarti dai genitori – e la società non spinge certo verso la convivenza tra amici – oppure sei figlio di Lazzaro e sei parcheggiato in un’università senza fine con la mammina che ti fa trovare la cena pronta ogni sera. Tornando ai britannici: anche loro adorano i loro genitori tanto quanto i figli e credo – senza sessismi voluti – che la donna venga percepita (e si senta lei stessa) ancora piuttosto soggetta all’uomo (basti vedere i salti di gioia che fanno quando perdono il cognome da nubile per prendere quello del marito…).
Insomma: sia per la Gran Bretagna che per l’Italia una società incentrata sulla dipendenza dai legami familiari avrà pur valori riconosciuti come “economicamente dubbi“, ma probabilmente, anche come nobili, e certamente in alcuni casi irrinunciabili.
Non parliamo poi del fattore onestà! Questo infatti é stato il mio apporto alla discussione tra disadattati citata ad inizio articolo: soltanto io ho l’impressione che man mano che si scende in Europa la disonestà aumenti? Certo gli svedesi ed i Norvegesi non si lamentano delle loro tasse altissime perché per lo meno hanno la certezza che tutto – o quasi – ritorna in tasca loro; i britannici certo qualche scandalo qua e là ce l’hanno ma i responsabili, una volta scovati, indossano per lo meno il vestito della vergogna e si dimettono immediatamente. Ma gli italiani, poveracci, che cosa devono fare? Loro sono così buoni da amare i parenti come amano gli evasori (che spesso coincidono comunque) e non hanno fiducia verso lo stato come la loro controparte nordica. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un inconciliabile gradino culturale.
E poi, sempre parlando di degrado geografico di onestá, guardate la Libia con il suo Gheddafi: vi pare che in un paese del genere ci potrà mai essere una mentalità “nordica”? Ma neanche se facessimo diventare l’intero paese un enorme consolato svedese! Anzi, geograficamente, Gheddafi fa sembrare Berlusconi proprio l’uomo giusto al posto giusto, esattamente collocato tra la dittatura libica di stampo familiare e la politica cristiano-democratica tedesca: quasi quasi é quello che ti aspetteresti a quella longitudine.
Quindi, riassumendo: se sentite di non aver assorbito la mentalitá del paese nel quale siete nati, e cercate un cinico realismo ed un funzionale egocentrismo civile, il mio consiglio é quello di emigrare a nord; se preferite la coltivazione di valori familiari e morbiditá giuridico-amministrativa, una societá un po’ piú maschilista, il sussidio statale sul bunga-bunga, allora una buona idea potrebbe essere quella di emigrare a sud. Il consiglio é valido anche per primi ministri (di tutte le nazioni), anzi, in particolare a questi: se andate ancora un po’ piú a Sud c’é Mugabe che vi aspetta tutti a braccia aperte. Non fate complimenti.
A volte, per regalarsi una lettura leggera nella pausa pranzo, é sufficiente aquistare un giornale britannico di tutto rispetto che gridi in prima pagina allo scandalo. Indendiamoci, lo scandalo é spesso vero, peró a noi risulta una lettura leggera per un semplice motivo: siamo abituati a ben altro.
Ad ogni modo, facciamo finta di tornare “ingenui”, fare finta che non siamo italiani, e di scandalizzarci veramente per le cosa “scandalose”.
L’Independent porta oggi alla luce i dettagli di una “scandalosa cena” (cena privata) tra il primo ministro britannico Dave Cameron, e James Murdoch — proprio, lui, il figlio del magnate dell’informazione, Rupert Murdoch — alla quale hanno partecipato anche le rispettive consorti.
Cosa ci sará mai di tanto scandaloso in questa cena? La spiegazione va cercata a ritroso.
La scorsa settimana Cameron si é trovato senza un importante consigliere ministeriale: il suo direttore delle comunicazioni, Andy Coulson, ha infatti rassegnato dimissioni a cause delle incessanti pressioni dell’opinione pubblica su una brutta storia di intercettazioni illegali risalente al 2007: per riassumere, Coulson era all’epoca editore generale del tabloid britannico “News of the World” (un giornalaccio a base di tette, culi, e sciacallaggio mediatico – praticamente una via di mezzo tra “Eva Tremila”, “Chi”, ed “Il Giornale”, soltanto senza il guinzaglio), e si dovette dimettere dopo che si venne a scoprire che un giornalista un po’ troppo intraprendente era solito procurarsi illegalmente intercettazioni telefoniche di VIPS, politici di spicco, e persino membri della famiglia reale, per trovare materiale per pubblicare succosi scoops. Dopo l’arresto di suddetto giornalista, Coulson venne convocato all’House of Commons per dare spiegazioni sulla sua conoscenza — od eventuale coinvolgimento — nella vicenda, ma egli sostenne sempre (come ancora oggi fa) che fu totalmente estraneo all’operato del giornalista; dopodiché si dimise (spontaneamente) scusandosi per l’inaccettabile mancanza di supervisione al suo staff.
La faccenda comincia a farsi interessante quando si nota come nel Luglio 2007 — sei mesi dopo essersi dimesso da editore del News of the World — a Coulson venga offerto un posto di lavoro come Direttore delle Comunicazioni personale del Primo Ministro britannico Dave Cameron; un ruolo molto importante, renumerato secondo l’Independent £475,000 l’anno, poi smentito da Downing Street che rilascia un salario ufficiale di £140,000 (comunque lo stipendio piú alto di ogni consigliere ministeriale britannico).
Perché mai Dave Cameron dovrebbe offrire un posto di lavoro tanto delicato ad una persona tanto “chiacchierata”? Forse perché teme di essere stato intercettato anch’egli? Forse per avere accesso ad alcune intercettazioni — di cui Coulson dopo tutto poteva essere a conoscenza? O forse per assumere dei “metodi di lavoro” che Coulson conosceva bene ed altri no?
Quel che sappiamo é che dal 2007 ad oggi numerosi altri giornali (giornali veri, non tabloid) hanno buttato ulteriore legna sul fuoco: dal Guardian al New York Times, molti hanno portato il loro pezzo di informazione che butta ulteriore luce sulla teoria che Coulson “era a conoscenza ed anzi incoraggiava” l’appropriazione di informazioni personali tramite intercettazione telefonica.
L’ultima goccia é arrivata appunto la scorsa settimana quando lo stesso Coulson — pur evitando sempre di ammettere un personale coinvolgimento nella vicenda delle intercettazioni — ha ceduto alle pressioni dichiarando “Quando un portavoce ha bisogno di un portavoce, é tempo di muoversi oltre“.
Cameron é seriamente colpito dalle dimissioni di Coulson per due motivi: il primo é che fino ad oggi si é sempre dichiarato completamente fiducioso nella sua onestá, e se si venisse quindi a scoprire che Coulson fu a conoscenza — o addirittura istigó — le intercettazioni significherebbe anche che per oltre tre anni Cameron avrebbe nutrito un criminale in seno, per di piú pagandolo con denaro pubblico.
Il secondo é che il News of the World fa parte dell’impero editoriale di Rupert Murdoch: lo stesso uomo che ha lanciato un’offerta pubblica di acquisto del 61% (ovvero la parte che ancora non possiede) su British Sky Broadcasting; se tale offerta se dovesse andare in porto consentirebbe alla compagnia si Murodch – la News Corp – di avere totale controllo sul piú grande servizio pay-tv del Regno Unito: coincidenza curiosa quando su suddetto acquisto proprio il ministro della cultura britannico (facente capo al governo Cameron) é chiamato ad esprimersi.
Ma la faccenda si fa ancora piú interessante quando andate su Wikipedia a vedere chi é il direttore del 39% di BSkyB, che la News Corp giá possiede: James Murdoch, figlio di Rupert Murdoch, l’uomo con il quale Dave Cameron é andato a cena! Subito dopo le dimissioni del suo direttore delle comunicazioni coinvolto in uno scandalo per intercettazioni!
I dubbi dell’Independent sono ben leciti: cosa c’é sotto? Cameron potrebbe avere un duplice interesse? Potrebbe essere sotto ricatto? Semplicemente interessato ad ottenere un certo tipo di “informazione”? O trattasi di una semplice cena privata?
Comunque, i britannici vanno in panico perché non hanno nessuna prova né verso l’una né verso l’altra teoria; ma, come detto in apertura, per noi italiani tutta la vicenda non é altro che una lettura leggera: innanziutto perché vedessimo la cena “da italiani” faremmo probabilmente una scrollata di spalle dicendo: “Nel migliore dei casi si tratta di corruzione semplice, nel peggiore di concussione, nel piú probabile di qualcosa nel mezzo”. In secondo luogo perché da noi una cena simile non avrebbe motivo di esserci: il primo ministro ed il principale proprietario di holdings di informazione sono giá la stessa persona, quindi semmai potremmo chiamare scandali altre cene, quelle aventi come ospiti “”imparziali”” (con quattro virgolette) giornalisti di tv di stato, o “imparziali” sindaci, o “imparziali” prostitute; questo senza contare le “imparziali” chiamate a direttori generali di canali di stato per fare chiudere programmi scomodi, le “imparziali” chiamate a questure per far rilasciare minorenni pseudo-figlie di presidenti egiziani, le “imparziali” intercettazioni di scomodi avversari politici.. la lista va avanti per ore!
Ah, la soglia britannica dello scandalo a confronto fa quasi tenerezza.
Probabilmente la maggior parte di voi giá ne sará al corrente: il 13 Gennaio scorso il sito www.lifeofamisfit.com é sparito dal web.
Poverino, stava festeggiando il quarto compleanno, l’hanno soppresso cosí.
Comunque questa volta, a differenza delle due precedenti, non é stato a causa di un attacco hacker, o delle minacce di cause legali da mogli di illustri ministi italiani; mi sono casualmente dimenticato di pagare la bolletta per il rinnovo (oops) ed il provider ha cosí deciso di disintegrare tutto come farebbero gli ATOs con un pacco sospetto in aeroporto.
Dopo essere stato preso da un coccolone, ed avere completato con successo il pagamento del dominio e del server a tempo di record, accedo nuovamente al pannello di controllo del registror per venire accolto dalla seguente frase “Benvenuto: crea il tuo nuovo sito web con tre click!“. Inarco un sopracciglio. Non hai capito, stupida macchina, io un sito ce l’avevo giá, rivoglio quell’altro!
Ovviamente non ho mai fatto un backup in vita mia, e mi sono scoperto preso dal panico quando non sono piú riuscito nell’accedere né al server FTP (per vedere cosa é rimasto del sito), né al database di MySql (per vedere cosa é rimasto dei post e dei commenti). Per un attimo mi é parso di capire cosa deve avere provato mia madre tutte quelle sere in cui sono rientrato a casa alla 6 di mattina senza mandare neanche un messaggio.
Alla fine scopro che l’unica cosa eliminata sono gli utenti FTP/MySql e le loro password e, ricreando gli accessi da capo, scopro che tutto é ancora lí. Quindi siamo di nuovo in pista: Bentornati a tutti 🙂
Se non fosse che il disastro sarebbe stato soltanto colpa mia, e che bruciando anche questo ponte con il passato praticamente mi sarebbe rimasto solo da andare a Lourdes, direi che l’esperienza é stata quasi divertente. Nelle cartelle e file recuperati ho ritrovato anche un po’ del mio ottimismo perduto.
In fondo la perdita di ottimismo é giustificata se la viviamo in modo realistico, e non ottuso. Ma una volta che il pessimismo ha preso il sopravvento, é anche giusto essere pronti a cogliere il momento per tornare ad essere ottimisti.
Ad esempio – tornando a leggere i giornali – l’ ottimismo é qualcosa di cui avrebbe bisogno il presidente Silvio Berlusconi, che da oggi alla lista dei suoi processi ne puó vantare anche uno per istigazione alla prostituzione minorile (secondo me quando sará indagato in tutti i processi del mondo urlerá: Bingo!).
Il Guardian comunque sostiene che Berlusconi non ha molto da temere perché (traduco) “Il sistema giudiziario italiano é vergognosamente lento e rinomato per la sua inefficienza; per chi ha denaro ed influenza politica ci sono infinite tattiche per raggiungere la prescrizione“. Grazie Guardian, é sempre bello sentirselo dire.
Giusto perché l’ottimismo a volte non basta, e bisogna essere sicuri di tenersi a distanza da questure e tribunali vari, Berlusconi ha giá in mente di candidarsi per le nuove elezioni (proprio come aveva detto nel famoso “contratto con gli italiani“: “Se non realizzeró almeno 4 dei 5 punti non mi ricandideró piú: ed infatti..) con un nuovo partito appropriatamente chiamato Italia, il cui slogan sará: “Se voti contro Italia, voti contro il tuo paese“. Casca a fagiolo: effettivamente era proprio quello che avevo intenzione di fare.
Come sempre, le promesse sono molto nazionalistiche: infatti per realizzarle dovrá coalizzarsi con il gruppo piú antinazionalista del paese, che fa di secessionismo e discriminazione i biscotti da mangiare a colazione: sono certo che nessuno ci fará caso.
Comunque Berlusconi é sempre un gran burlone: basti pensare al partito chiamato “Popolo della Libertá” dove anche lí infatti era tutto da interpretare: quello a cui si riferiva era la libertá di delinquere impunemente.
Uscendo dall’Italia, hanno bisogno di ottimismo anche politici e cittadini di Portogallo, Grecia ed Irlanda, che a differenza degli italiani non riescono a deviare le attenzioni dei giornali verso le proprie “puttanate” (inteso proprio in senso letterale) e sono quindi sotto il perenne fuoco incrociato di economisti ed europarlamenti per le proprie insolvenze monetarie. Il 12 Gennaio scorso il Portogallo é stato costretto a pagare il 6.7% per un prestito europeo di 10 anni, mentre per il momento Grecia ed Irlanda nascondono la testa sotto al tavolo.
Persino una come Angela Merkel, a capo di uno stato che é il primo della classe d’ Europa, ha bisogno di ottimismo; prima di tutto per le elezioni interne che la aspettano quest’anno, e poi per il suo amato Euro che, una volta fiore di pregio internazionale, le sta dando ora tanti grattacapi. Anzi, é quasi curioso notare come la Germania, che neanche 70 anni fa era tanto impegnata a spendere soldi per distruggere tutti quelli che le stavano attorno, oggi altrettanti ne spende per salvarli dal baratro. Paga, Angela, paga.
Infine, hanno bisogno di ottimismo i miei amici britannici. David Cameron, nella furia di tagliare qualsiasi cosa gli capiti a tiro, ha cominciato a mettere mano anche al sistema sanitario nazionale NHS, un sistema giudicato piú volte come il migliore al mondo ed al quale i britannici sono legati con le catene. Sinceramente non sono sicuro di capire il suo scopo finale. Forse la sua idea é quella di non far vedere ai britannici il tracollo del paese facendoli morire prima: potrebbe funzionare.
Sempre in Gran Bretagna, c’é Ed Miliband, il nuovo capo dell’opposizione, che invece va a caccia di favori pubblici urlando vendetta contro i bonus stratosferici elargiti ai manager delle banche, argomento toccato da tutti e sul quale concordano tutti, ma che alla prova dei fatti nessuno ha seriamente intrapreso, vuoi per incapacitá pratica, vuoi per paura di danneggiare il sistema che de facto fa andare avanti il Regno Unito, o vuoi per il terrore di ritorsioni da parte di chi minaccia di spostare le sedi generali fuori dal paese appena gli tocchi un centesimo nel portafogli. Forse anche lui vuole arrivare a 500 milioni di amici, come Mark Zuckerberg, peccato che nel suo caso i nemici arrivino praticamente in egual numero.
Abbiamo tutti bisogno di ottimismo: é l’unica cosa che ti garantisce di tornare in pista con la voglia di combattere quando le cose vanno male.
Per concludere come ho iniziato, anche io sto lasciandomi alle spalle tante cose e muovo le tessere per pavimentare il percorso che sto per intraprendere. Vi ringrazio di cuore per il supporto morale, i commenti al post precedente mi hanno scaldato il cuore, vi adoro tutti ad uno ad uno e se non ci fosse il monogamismo di mezzo vi sposerei tutti. La nazione dei disadattati esiste, é vicina, ne siamo la prova. Il 2011 sará un anno brillante.
Sí, sono tornato. Eccomi qua. …ma non sono molto in vena di scrivere sul blog, perché non ho voglia di lanciarmi in analisi su fatti di attualitá, né ho voglia di ridere delle ultime disavventure londinesi/italiote, né vorrei appestare il blog con un altro post deprimente.
Ma che ci posso fare, ho il morale a terra.
Credere che una data sul calendario possa terminare un periodaccio cosí, per magia, non é servito a molto: stavo passando un periodo di merda alla fine del 2010 e sto passando un periodo di merda all’inizio del 2011 (il bello é che io sono quello che si vanta di essere ottimista, quello che “dai che se ti impegni riesci lo stesso a tirarci fuori una risata”: sí, un paio di balle).
Dato che non sto subendo conseguenze dirette ad azioni che ho compiuto personalmente, credo il destino sia incazzato con me per qualcosa che ho fatto nella vita precedente; questo, oppure il karma esiste e ti morde le gambe proprio quando fai per sederti.
Ma parliamo di cose allegre: parliamo delle mie vacanze natalizie in Italia.
Le mia vacanze natalizie in Italia sono state tristi e deprimenti: ho bruciato mio malgrado tre ponti con il mio passato (uno era proprio un bel pontone, piú parte del paesaggio che un’infrastruttura) quindi adesso le mie motivazioni a rientrare in Italia – come le mie necessitá di tornarci per qualsivoglia faccenda – sono ulteriormente diminuite.
Ci sono cose che succedono e le puoi solo guardare accadere: cosí va, é una conseguenza del vivere all’estero per diversi anni, e lo accetto: dopo che ti sei trasferito, c’é una fase in cui la tua vita rimane in pausa, va in risparmio energetico, e questo succede che tu lo voglia o no (praticamente, anche se vivi all’estero, la gente é convinta che tua sia in vacanza); poi lentamente i primi cavi di supporto cominciano a saltare da soli, gli amici si fanno sentire meno spesso, non c’é piú bisogno di raccontarsi gli avvenimenti quotidiani ma soltanto quelli emotivamente piú importanti, non ti interessa piú se il cantante italiano di turno ha lanciato il nuovo album, o se il politico di turno ha litigato con quell’altro (vabbé che i politici sono sempre quelli e litigano sempre tra loro); cominci a vedere il tuo conto in banca italiano come quello “ma forse dovrei portare qua i soldi”, il tuo comune come quello “ma forse mi dovrei iscrivere all’AIRE”, la tua auto come quella “ma forse la dovrei vendere invece di pagare il bollo ogni anno” e cosí via.
La vita tende a mettersi lentamente sulla strada piú utile a sé stessa, per te come per gli altri.
Sento di un sacco di italiani all’estero che rientrano nelle loro cittá di origine con cadenza trimestrale, bimestrale, mensile o addirittura settimanale. Io non tornavo da 12 mesi. Ma la frequenza del rientro é chiaramente legata al motivo per cui uno se ne va. Alcuni tipi di italiani ad esempio (altrimenti identificabili con il termine medi) si trasferiscono a Londra solamente per potersi divertire lontani dalle ombre di genitori particolarmente apprensivi, e Londra offre ogni genere di discoteche e droghe per questo ed altri scopi; altri vivono con il corpo a Londra e con la testa nelle loro cittá italiane perché hanno una dipendenza clinica dalle loro vite e mentalitá autoctone, oppure hanno una paura fottuta che le loro vite proseguano senza di loro, che al rientro qualcosa possa essere cambiato e non si possa riprendere da dove si era lasciato, che gli amici abbiano iniziato a cambiare “giro”, che la fidanzata possa essere inciampata nel letto di un caro amico (perché gli amici ci sono sempre nel momento del bisogno) e cosí via.
Ma io mi dico: Un conto é tornare perché vuoi rivedere in faccia le persone alle quali vuoi bene, ma un altro conto é ossessivamente aggrapparti ad una vita che non vuoi che cambi quando tu, per primo, cambi. Le persone cambiano giá in circostanze ordinarie, anche solo per via degli eventi che vivono, delle idee che maturano, delle persone che incontrano, figuriamoci uno che vive all’estero ed é giornalmente immerso in un’altra cultura. Soltanto uno stupido non cambia mai, e soltanto un grande stupido non cambierebbe a Londra. Quindi chi non ha avuto la possibilitá di vederti per un lungo periodo di tempo ti riscoprirá inevitabilmente diverso: mosso da diverse idee, diversi modi di ragionare, diversi interessi; alla stessa maniera gli amici che ti vedono piú spesso ti vedranno comunque cambiare, soltanto piú lentamente. Sará naturale e spontaneo, alcune persone faranno finta di non vederlo, mentre lentamente tu assumerai un diverso modo di parlare, di vestire, di sorridere a battute che prima ti facevano ridere, irrigidirti ad epiteti che prima ti facevano sorridere, e cosí via. E non c’é niente di cui vergognarsi e non c’é niente da rinfacciare poiché il cambiamento é bilaterale (anche se diverse persone cambiano a velocitá diverse), ed é la percezione, e la reazione a questa, che determina l’evolversi di una relazione di amicizia, non la frequenza con la quale la percezione stessa avviene. Quindi, se qualcuno mi dice che ha mantenuto le stesse amicizie per tutta la vita, secondo me o é uno stupido, o un santo.
Oppure molto, molto fortunato. Per quanto riguarda il sottoscritto, i pochi amici italiani che mi sono rimasti – e non dico dalla mia infanzia, ma quelli che non ho perso nel passaggio a Londra (e ne ho persi…) – credo ormai mi abbiano visto in salse e colori talmente diversi che probabilmente siano rassegnati ad essermi amici finché vivo: sono quelli che quando mi siedo ad un tavolo é come un fiume in piena al quale é appena stata aperta la diga, che ascoltano con impazienza le mie nuove avvenute ed i miei nuovi interessi e li ribattono con i loro, che incassano le mie lezioni di vita e mi ridanno indietro le loro, quelli che alla fine ti senti in dovere di scusarti per il fatto di non esserti fatto sentire piú spesso e loro con un sorriso ti rispondono (citando incidentalmente una canzone) “I don’t mind if you don’t mind, cause I don’t shine if you don’t shine“: ossia “non mi importa se non ti importa, sono felice se sei felice”.
Comunque il concetto di “amicizia” é un termine troppo personale per essere identificato alla stessa maniera da tutti: io valuto importante un amico dal quale mi sento capito, ma altri possono dare importanza agli amici che si ricordano le date dei compleanni, che si fanno sentire spesso, che escono la sera, e cosí via. Essendo io uno smemorato sociopatico disadattato é chiaro che ho metri di giudizio piú simili a me: ad esempio ci sono persone che conosco da anni, e ritengo sicuramente amici e voglio loro bene, ma non riesco a sentirmi a mio agio al punto da buttare loro addosso i miei problemi: primo perché preferisco, magari erroneamente, condividere con loro momenti di spensieratezza piuttosto che di riflessione, e secondo perché credo siano loro malgrado incapaci di fornirmi consigli che prenderei in considerazione (leggi anche: Io vivo in Italia e sto bene in Italia, quindi: “Sai che sto passando dei problemi a Londra?” -> “Ah sí? E perché non rientri in Italia??”. (Grazie, i tuoi consigli sono apprezzabili come la diarrea al mare ¬_¬ ).
Poi, a volte, ci sono persone che neanche ti conoscono, che non ti hanno mai visto in vita loro – magari, giusto per riportare il mio esempio personale, attraverso stralci di caratteri elettronici di un blog alla deriva dell’universo di internet – ed in due parole ti dicono cosa pensano del mondo e ti presentano uno spaccato tridimensionale della tua testa con tanto di musicassetta e tour guidato; ti leggono nel pensiero; gli dici metá di quello che pensi e l’altra metá la finiscono loro, hanno interessi e sogni diversi dai tuoi ma ideali e speranze uguali ai tuoi, lo vedi in un’email, in quattro righe di commento ad un post, in un messaggio su Twitter, in una chiacchierata al pub, é come vedere te ma nato in un’altra cittá, con altri amici, con altre esperienze, con un’altra vita. E tu cosa puoi fare? Ti apri naturalmente a loro: li vedi una volta e ti sembra di conoscerli da una vita.
Conoscere una persona da una vita certo aiuta a capirla, ma capirla perché ne si condivide il modo di vedere il mondo – no, quella é una cosa naturalmente diversa: ne nasce un tipo di relazione diversa, piú spontanea, piú empatica, piú telepatica.
Non so se quel che ho scritto fino a questo punto ha senso: empatia e relazioni sociali sono argomenti personali, interpretabili e contestabili e, certamente, se il mondo fosse soltanto quello che si vede sotto il sole non ci sarebbe molta vita da vivere; ma forse qualcuno da queste parti sa di cosa sto parlando, e magari concorda anche con quello che penso. Ecco, se sei quel qualcuno, e stai leggendo questo post: Beh, grazie per il supporto: é bello sentirsi capiti in momenti bui.
Sto uscendo da due settimane di merda. Tornare a scrivere su questo blog in questo momento sembra come risollevare la testa e ricominciare a guardarsi intorno.
In primis un recente progetto lavorativo mi ha completamente rubato la vita: sono stato assorbito dalla mia scrivania come Shinji viene assorbito dall’eva-01 in quell’episodio di Evangelion; ho lavorato durante la settimana e nei weekends.
In secundis, ad aggiungere carne al fuoco, mi dico che quando uno torna a casa dal lavoro, alle nove e mezza di sera, per riposare le stanche ossa, magari vorrebbe se possibile evitare di trovare i suoi simpatici coinquilini che organizzano cene, parties, compleanni, addii al celibato e feste di matrimonio; invece casa nostra é aperta a tutti, quindi, cari lettori, se avete dei giorni di ferie che vi avanzano non fatevi scrupoli: venite a casa mia, chiunque é il benvenuto ad ogni ora del giorno e della notte, per soggiorni brevi o prolungati, pranzi o cene, visite turistiche o soggiorni studenteschi; siamo tutti estremamente ospitali, ad esempio potete lasciare per casa tutto il rutto che volete (rutto=deformazione bergamasca per identificare “tutta la vostra mancaza di ordine e di buone maniere”) ed in cambio vi chiediamo soltanto un sorriso. Se venite ora potrete anche ampliare le vostre amicizie, ad esempio in questo momento stiamo ospitando temporaneamente il fratello del nostro coinquilino (non da molto tempo: soltanto da due mesi e mezzo. Ma sempre temporaneamente, eh), e passiamo le serate ascoltando racconti di gioventú disagiata — chiaramente gente senza una casa dove stare — alla quale offriamo un pasto caldo ed una pacca sulla spalla, sempre con un sorriso.
Durante i weekend invece, giá dalle otto di mattina abbiamo anche il nostro mercato rionale (per fare concorrenza al Borough Market), che pare stia diventando molto apprezzato e che presto lo troverete sul Time Out nella categoria “hidden gems”; se avete in particolare passione per piatti a base di aglio e cipolle, che volete imparare a cucinare sprigionandone correttamente i sapori, all’ora di pranzo teniamo anche lezioni gratuite di veri professionisti.
Le mie due valvole di sfogo sono state, in ordine regressivo: un compleanno, e la Misfit Night Out.
Il compleanno era di Michael ed é stato venerdí sera. Ultimamente io, Michael e Tony ci siamo legati molto, un po’ per la sfiga cosmica che ci accomuna, un po’ per il senso di disadattamento che condividiamo. Michael é appena stato licenziato per “opinioni discordanti con il superiore”, Tony é stato buttato fuori di casa perché “messy and filthy” (notare che questo di lavoro fa il medico di base all’ NHS: non si accorda perfettamente con il termine “filthy“?), mancava solo che arrivasse John, rinomato per i suoi problemi con l’alcool (lui lavora per la BBC scrivendo le trame delle fiction: immaginatevi uno pseudo-genio afflitto da numerosi conflitti interni), che in breve la situazione é sfuggita di mano ed alle dieci di sera eravamo giá buoni per i cessi della stazione di Euston. E’ un vero peccato perché da tempo vorrei “intervistare” Tony per capire come funziona la carriera di medico nel Regno Unito, cosa pensa della liberalizzazione delle droghe, quali assurdi personaggi tale professione di fa conoscere e cosí via; purtroppo i nostri discorsi cessano di avere senso dopo la prima mezz’ora. John invece é un’assiduo videogiocatore come me, ed a parte che si é laureato in filosofia a Cambridge della sua carriera professionale so poco o niente (di quella videoludica invece so tutto). C’erano anche diverse ragazze: una giovane irlandese davvero graziosa, appena giunta a Londra ed in cerca di casa e di lavoro come graphic designer; le ho spiegato che l’avrei volentieri ospitata, ma credo di averle fornito la descrizione del mio appartamento esattamente come l’ho riportata ad inizio articolo, e dopo ció non mi é piú sembrata cosí convinta.
Tirando le somme l’isola felice delle ultime settimane é stata la Misfit Night Out, che é stata relativamente alcohol-free (a parte sul finale, quando sul tavolo del ristorante peruviano sono apparsi due double-shots di una grappa peruviana dalla composizione chimica simile alla dinamite) quindi siamo sempre riusciti ad avere dei discorsi interessanti. Ho scoperto che in Spagna si convertono tutte le parole straniere senza alcuna riserva, incluso termini come mouse, router, firmware (ignorando se i risultati suonano talvolta imbarazzati), e sinceramente non credevo che in Spagna ci fosse un tale protezionismo della lingua. Ho anche ascoltato un’interessantissimo spaccato della vita torinese nel periodo della morte di Agnelli, il paragone con Berlusconi (esiste un paragone?), l’immancabile argomento del suo chiacchieratissimo setto nasale e cosí via. Grazie alla presenza di un mio quasi-concittadino ho anche scoperto che il luogo dove sono nato é associato nella mentalitá dei nostri vicini alla cittá delle prostitute. Ho trovato tutto estremamente romantico, quasi hard-boiled; sará che 20 anni di dominio leghista ci hanno viziato a non farci mancare proprio niente.
Nel contesto generale di una vita combattuta e stressante mi scuserete se ho quasi completamente ignorato l’ennesimo trucco di magia del signor Silvio Berlusconi: a quanto pare con le sue parole cariche di ispirazione é riuscito a convertire al suo partito diversi esponenti che prima sembravano voler far cadere il governo, e proprio prima del voto di sfiducia; addirittura uno di questi, che fino a pochi giorni prima associava il nome Berlusconi a termini come “ladro” e “mafioso”, é improvvisamente rinsavito, come avesse visto la luce, ed ha capito che per il bene del paese avrebbe dovuto cambiare idee e votare per mantenere il governo in carica. Ora ha misterisamente finito di pagare il mutuo della casa.
Non dobbiamo piú stupirci di quello che succede in Italia; sappiamo tutti che la mentalitá generale accetta, supporta (in alcuni casi ammira) questo genere di comportamenti; ma ho compreso che esistono persone che nonostante siano cresciute in questo ambiente — a volte anche da genitori vicini a modi di pensare sopra citati — si rifiutino in qualche modo di venire “assimilati”, ed anzi maturano e mantengono una propria integra morale, riuscendo al tempo stesso a conciliarla con un’amore naturale per le persone care che trascende idee ed ideali. Tutto ció lo trovo ammirevole e stupefacente.
Ció non mi fará certamente decidere improvvisamente di tornare in Italia, ma diciamo che invece di odiare l’italiano medio ho cominciato a compatirlo. Forse si smette di odiare le cose quando si comincia a comprenderle.
Concludo lasciandovi con una manciata di fotografie di Londra coperta dalla neve; se riusciró ci leggeremo prima degli auguri di Natale, altrimenti, a voi disadattati e cittadini del mondo, auguro un sereno Natale ed un dignitoso inizio 2011: ce lo meritiamo davvero tutti!
I was going through my photos from 2010 and found it sleeping there: it was like I had even forgotten my mum had been here this year, but photos have such power to take your memory back to when you took them! Yes I will be flying back on the 24th (after 12 months of absence: people will have probably forgotten my face lol) so I should be able to catch up with friends and family; actually I could use some family pampering — it has been such a stressful year!
I hope you are ok, I look forward to your next trip to London, when for one of our chats around a table at a coffee bar!
E’ difficile analizzare quello che sta accadendo nel mondo diplomatico sotto la vicenda dei Wikileaks, rimanendo oggettivi. Per quanto io stesso provi a mantenere un approccio critico verso la cosa ci sono certi muri — come la mia definizione di morale, la personale curiositá, l’apprensione per le reazioni di un intero mondo diplomatico — che vengono a pararsi nel mezzo dei miei ragionamenti ben prima di osservare obiettivamente la vicenda, e noto che lo stesso accade agli altri.
In sostanza quello che definisce la nostra percezione di Wikileaks — ció che ai nostri occhi la fa apparire come un’organizzazione di resistenza giornalistica piuttosto che un gruppo di anarchici terroristi — é direttamente collegato alle risposte che diamo a queste domande:
E’ lecito per un giornalista infrangere la legge, o la privacy di un cittadino, se come risultato porta alla luce un fatto di interesse pubblico? Come si definisce un fatto di interesse pubblico? Se esiste un documento che prova che un potente politico é invischiato in attivitá illecite é giusto appropriarsene illegalmente e pubblicarlo? E’ ugualmente giustificato rubarlo se le attivitá illecite non sono immediatamente ed incontrovertibilmente dimostrabili dal documento? E se il politico semplicemente “sparla” di altri politici? E’ giusto mostrare l’ipocrisia di questi personaggi pubblici? Come si definisce la linea dove far cadere il limite tra il pubblico ed il privato?
Queste diverse concezioni (ed, in alcuni casi, interessi) fanno in modo che l’opinione verso Wikileaks possa toccare estremi opposti. Pensate a quando Wikileaks pubblicó quel clamoroso video chiamato “Collateral Murder” nel quale si vedeva un elicottero americano fare fuoco su un gruppo di civili a Baghdad (tra cui due giornalisti Reuters, mitragliati perché dall’elicottero le telecamere erano state scambiate per armi): alla pubblicazione del video le parole di condanna da parte dell’amministrazione americana si sprecarono, ma quelle dei giornalisti e dei cittadini spesso non cantarono la stessa canzone.
E’ stato giusto pubblicare quel video? Da un punto di vista si trattava della veritá, quindi non ci sarebbe stato niente di male a pubblicarlo, dall’altra il documento apparteneva al dipartimento della difesa americano, quindi rubato, quindi di provenienza illegale. Personalmente, come cittadino privato, ho apprezzato la possibilitá di vedere il filmato, e mi reputo in grado di giudicare autonomamente se i militari sono stati avventati, i giornalisti sfortunati, o i piani alti americani paraculi; in quel frangente mi sono sentito simpatizzante verso l’operato di Wikileaks.
Pensiamo ora al caso odierno: Wikileaks é tornato alla ribalta per la pubblicazione dei famigerati “US Cables”, ossia lettere di corrispondenza tra il dipartimento di stato americano e le sue missioni diplomatiche in giro per il mondo: il mondo finge di essere sconvolto dal leggere ció che l’America pensa di loro (tranne Berlusconi: quando ha letto che gli Americani lo vedono come “il portavoce di Putin in Europa” a quanto pare si é fatto una risata), e l’America stessa si sente derubata dei propri documenti privati (il rappresentante della Homeland Security americana che ha dichiarato “Wikileaks dovrebbe essere considerata alla stregua di un gruppo terroristico”) ma per un cittadino e lettore informato questa é la fiera dell’ovvio: é un po’ come se io tenessi nella mia scrivania in ufficio un diario nel quale descrivo ció che penso di tutti i miei colleghi: é ovvio che se dovesse venire reso pubblico i miei colleghi scoprirebbero cattiverie esagerate che di persona non direi, é ovvio che i miei colleghi ne risentirebbero, é ovvio che io me la prenderei con chi mi ha rubato il diario, ma forse, tra tutto il marasma, una terza persona dotata di senso critico scoprirebbe che ho scritto cose che tutti pensano e nessuno ha avuto il coraggio di dire: ad esempio non serve un genio per sapere che Berlusconi e Putin sono compagni di giochi (quali giochi ve lo lascio intendere), ma cosa avrebbe fruttato all’America dichiararlo pubblicamente? Il mondo diplomatico va ben oltre il dichiarare ció che si pensa. Certo é facile definire il mondo diplomatico “ipocrita”, ma bisogna anche considerare che a volte questa ipocrisia delimita la differenza tra un dialogo ed una guerra.
Quindi, come privato cittadino, gli US cables mi interessano eccome, ma leggendoli sono anche consapevole che camminiamo tra il realpolitik ed il gossip diplomatico, e cosí dovrebbero fare anche i capi di stato che il giorno dopo si fanno telefonare dalla Clinton per farsi dire “ti assicuro che sei un grande amico!! (non fa niente se ieri ho scritto che sei un ciccione balordo)”.
Mi interessano forse maggiormente le reazioni delle parti in causa: leggere un Frattini che dichiara “Questo é il 9/11 della diplomazia mondiale, Wikileaks vuole distruggere il mondo” mi fa capire quanto l’Italia sia paraculo.
Leggere Berlusconi che dichiara che “i Wikileaks sono falsi” (unico commento del genere in Europa, nemmeno gli americani hanno smentito) e che “Wikileaks pubblica roba da giornali di sinistra” mi fa capire che Berlusconi non ci fa, c’é.
Leggere Ahmadinejad che dichiara “i documenti non sono stati rubati ma piuttosto pubblicati di proposito dall’America” mi fa intendere che nemmeno lui riesce a credere che l’America abbia veramente resistito alle insistenti richieste degli emirati arabi di sganciare una bomba o due su casa sua: forse nel suo egocentrismo crede che gli Americani siano tanto disperati pur di farselo amico?
Credo sopratutto che, come manifesta chiaramente il pensiero di Ahmadinejad, l’America non stia uscendo dalla vicenda con la faccia bruciata come si pensava (almeno per il momento), anzi oserei dire che si é dimostrata piuttosto coerente con il suo operato in materia di politica estera. Certo, scoprire che la democraticissima Hillary spiava membri dell’Onu e chiedeva rapporti sullo stato mentale di presidenti sudamericani non fa guadagnare al paese punti di riguardo, ma considerato che si tratta di documenti rubati vorrei vedere cosa potrebbe essere il risultato di un’operazione simile in paesi come la Cina, il Pakistan… o l’Italia! Forse il pubblico non é ancora pronto a scoprire a quali misure i nostri governi si rivolgono abitualmente per mandare avanti il paese.
Comunque, personalmente, credo che prendersela esclusivamente con Wikileaks sia ingiusto: in essenza Wikileaks non é nient’altro che un sito internet che permette a chiunque possieda documenti confidenziali o secretati di pubblicarli sulla rete senza rischio di rivelare la propria identitá. E’ relativamente semplice puntare il dito sulla moralitá di Wikileaks per permette simili cose, ma se ci sono dei buchi morali lí ce ne sono parecchi altri in chi protegge Wikileaks, in chi fornisce i documenti, in chi li ruba, e forse anche nel governo al quale i documenti sono stati sottratti. Mandare le minacce di morte ad Assange é come mandarle a Zuckerberg.
Vada come vada, l’unica cosa che credo sia concordabile da tutti é che a causa (o “grazie a”) Wikileaks il mondo dell’informazione é cambiato per sempre: grazie all’apolidismo di internet — nonché all’abilitá di tecnici del settore — informazioni riservate che prima venivano rese pubbliche a rischio di famigerate “gole profonde”, o tramite pacchetti anonimi recapitati nelle redazioni, possono oggi venire tranquillamente pubblicate con un clic, dopo essere state fatte rimbalzare lungo un’infinitá di server sparsi in giro per il mondo, spedite ad un server-bunker svedese (questo perché in Svezia é legalmente proibito risalire alla fonte di informazioni di un giornale), ed infine sparate su di un sito internet che cambia ciclicamente i servers di appoggio per garantire la totale protezione dell'”informatore”.
Chi credeva che il crollo della privacy dall’avvento di Facebook, Twitter e Myspace avrebbe riguardato soltanto i privati cittadini sbagliava di grosso: Wikileaks non é altro che la comparativa “politica” di questi servizi, e se Hillary, Barack e compagnia bella tengono tanto ai propri segreti farebbero bene ad alzare i propri livelli di privacy prima di scoprirsi “taggati” in ben altri tipi di documenti.
Personalmente credo che prendersela con Wikileaks sia ingiusto: per un utente esterno Wikileaks non é nient’altro che un sito internet che permette a chiunque possieda documenti confidenziali o secretati di pubblicarli sulla rete senza rischio di rivelare la propria identitá. E’ relativamente semplice puntare il dito sulla moralitá di Wikileaks, ma se ci sono dei buchi morali lí ce ne sono parecchi altri in chi protegge Wikileaks, in chi fornisce i documenti, in chi li ruba, e forse anche nella persona alla quale i documenti sono stati sottratti.
Dear all,
Sono lieto di annunciare che la terza Misfit Night Out (Christmas Edition) si terrá Venerdí 10 dicembre alle ore 18.30 al Horniman Pub di London Bridge (Horniman é un cognome: niente idee strane).
Sono un po’ meno lieto di annunciare che il giorno dopo lavoro! Avrei voluto organizzare per la sera seguente ma, purtroppo, quel sabato sono giá confermato per assistere ad un canto gregoriano in una chiesa sconsacrata nel nord di Londra, dove canteranno efebici immigrati clandestini con tendenze misogine (penserete che io stia scherzando: no).
Il Pub del signor Horniman si trova vicino alla stazione di London Bridge, nella Hay’s galleria, proprio di fronte al fiume.
Che dire: non ci saranno drinks gratis, non ci sará lo skyline londinese dalla finestra del 24esimo piano, e mi dicono anche che le cameriere avranno solo due tette; ma ci saremo noi, temibili guerrieri della societá moderna, armati di idee, speranze, sogni ed ambizioni. Ah, e gli immancabili piani di dominio del mondo.
Al solito per trovarmi chiedete del tavolo “Matteo”, o cercate quello che sembra Michael Rosenbaum e che sta bevendo il sidro alla pera.
In alternativa mandatemi una mail che vi lascio il numero di cellulare.
A presto!
Oby.
[EDIT]: Link all’evento su Facebook.
Link su Google Maps.
Indirizzo, telefono e chincaglierie varie.

http://www.facebook.com/pages/Life-of-a-Misfit/128573283824846#!/event.php?eid=176712119022550
Dopo quattro mesi di sudore e sangue spesi su un progetto di riorganizzazione dello staff aziendale che non vi sto qui a spiegare (indizio: includeva un’ apprezzatissima scrematura dell’organico), io ed altri loschi personaggi coinvolti in suddetta organizzazione riceviamo un’email dal capo supremo egr.ill.dir.sup.lup.man.faccia di cul, con tanto di asterisco rosso abbagliante che indica “messaggio importante” — insomma roba che scotta — che alla sola lettura del mittente ci guardiamo immediatamente in faccia e diciamo “é venuto anche il nostro momento!”, invece no: si tratta a sorpresa di un coloratissimo invito a “brindare alla riuscita del progetto” e “per complimentarsi con tutte le persone coinvolte nel duro lavoro degli ultimi mesi” e “per rilassarsi assieme in maniera informale una serata dopo il lavoro”.
Voi dovete sapere che il capo supremo non si é mai manifestato in forma umana ai comuni mortali, c’é chi sostiene che in realtá non sia nemmeno un uomo ma un essere immateriale onnipresente tipo The Matrix, o un supercomputer a positroni localizzato in un caveau supersegreto nella banca venti piani sotto terra, o una principessa bambina che impartisce ordini da una prigione all’ultimo piano di una torre d’avorio, e cosí via; ma sopratutto quando, terminando di leggere la mail, scopriamo che il luogo dell’incontro é un viziosissimo bar della city famoso per proporre drink talmente costosi che per pagarli devi indebitare anche i figli che non hai ancora concepito; con una vista talmente ricercata che Renzo Piano in persona ti cambia lo skyline londinese nel caso non fosse di tuo gradimento; con delle cameriere talmente selezionate che hanno almeno tre tette l’una; che quando abbiamo letto che il capo si é anche offerto di coprire tutte le spese per gli alcolici … beh, un commento condiviso si é immediatamente sollevato: “OK, é una trappola“.
“Ci sará la coordinatrice del piano che ci aspetta con l’anello a comparto segreto con dentro il veleno” dice uno, “sará una scusa per presentare un nuovo progetto grande il doppio e con la metá della forza lavoro” dice un altro, “secondo me ci licenziano tutti appena arriviamo” dice quello piú ottimista; cosí senza una chiara idea su cosa aspettarci ci presentiamo all’ingresso del locale un po’ intimoriti, tipo bambini all’ingresso dalla scuola il tredici settembre, assicurandoci di arrivare con un elegante ritardo per farci sembrare talmente ligi al dovere da esserci trattenuti in ufficio da qualche consegna dell’ultimo minuto che dovevamo necessariamente concludere… Tutte precauzioni inutili: giá dalla vetrata dell’ingresso vediamo tutte e 12 le segretarie del piano del trading che, ubriache come camionisti della transalpina, stanno ballando la lap-dance sui tavoli sbandierando c apelli ed adipe al vento, con le bottiglie di birra nelle traballanti mani che praticamente quelli di sotto che vorrebbero farsi gli affari loro si beccano comunque delle meravigliose secchiate di birra in testa tipo flash-dance.
Per evitare la benedizione dell’alcool mi ritiro in un angolo, ma la terribile amministratrice delle relazioni pubbliche mi ha giá avvistato e si avvicina a velocitá perpetua ed immutabile, senza toccare il pavimento, tipo ectoplasma, con un sinistro sorriso sul viso e lo sguardo vispo ed intenso come quello di una triglia al mercato rionale — i miei colleghi da distanza mi guardano e ridacchiano: il vecchio scheletro é infatti nubile dal 1934 e dopo la prima birra ha l’abitudine di cominciare a girovagare per il locale tipo macchinina a raggi infrarossi, di quelle che si schiantano contro il muro e cambiano direzione, marpionando chiunque le capiti davanti e chiedendolo in sposo nel corso della stessa serata.
Colto dal panico attacco bottone con l’essere umano piú vicino a me: é un’irlandese di mezz’etá, giá talmente ubriaco che si regge al bancone con la mano tremolante, mi dice di lavorare nel management ma non si capisce bene cosa é che “maneggia”, mi racconta una vita di stenti e di fatiche: che a 14 era in Cina a caricare latte sui camion, a 16 a Bangalore a cucire palloni in fabbrica, a 18 nel quartiere delle puttane ad Amsterdam a contare i clienti, a 20 in America in cassa in un ristorante take away, a 22 a Londra a pulire i pavimenti per pagarsi gli studi, poi a Vienna, in Australia, a Singapore; oltre che vagabondo scopro che ha anche acquisito un’affascinante memoria contemporanea: era a Burma durante l’arresto di Aung San Suu Kyi nel 1990, in Sudafrica durante le rivolte per il rilascio di Mandela, a New York quando hanno buttato giú le Torri Gemelle, a Londra quando hanno fatto l’attentato nel 2005.. insomma, se non fosse per il fatto che é avvolto da un misto di sfiga e di pessimismo cosmico che lo fa trovare in tutti gli angoli del mondo quando succede una disgrazia, il tizio sarebbe anche simpatico: cosí dopo averlo preso un po’ per il culo finiamo per conversare per quasi due ore filate e mi stupisce piú di una volta perché ne sa veramente tante: conosce pure Falcone e Borsellino, mi spiega come “il ladro fa un sacco di soldi ed il massimo che rischia é la prigione, mentre il giudice rischia di saltare per aria con la moglie e i figli”, parliamo della crisi finanziaria a Londra, dei derivatives, della mentalitá ai tempi del capitalismo, dei rogue traders, della bancarotta dell’Irlanda, non gli risparmio le battutine e gli dico che gli irlandesi dovranno mettersi a vendere patate al Regno Unito per tappare l’incompetenza dei loro financial regulators, e lui non si offende, anzi, ride e mi dice che sono piú informato della maggior parte dei cittadini britannici.
All fine lo vedo spegnersi e cadere lentamente con il volto sul bancone, cosí mi sposto in direzione dei tecnici del dipartimento di IT, dove vengo immediatamente inglobato dalla “curva sud” allestita per l’occasione di fronte alla partita Inghilterra-Francia, nella quale, aiutati dall’alcool, rapidamente si degenera e si passa dal calcio al cricket e da lí a promettere di cantare tutte le canzoni del Barmy Army con punte estreme come “Jesse Ryder” fino a che mattino giunga.
Fortunatamente riesco a divincolarmi attorno a mezzanotte, durante un momento di abbiocco generale: scivolo silenziosamente verso l’uscita scavalcando l’amministratrice delle relazioni pubbliche, che nel frattempo ha esaurito le batterie ed é collassata al suolo, e mi lancio sulla via verso casa sotto una pioggia battente dopo essermi scolato 5 birre Peroni, 4 gin & tonic, 2 bicchieri di vino bianco, uno di vino rosso, un Martini e due Sambuche (per mia fortuna gratis…).
Il giorno dopo arrivo sul lavoro con l’occhio spento e la mascella ad incasso, ed ancora prima che mi riesca a togliere la giacca il mio capo mi assale sulla mia scrivania con la bava alla bocca tipo quindicenne fuori dal camerino di Vasco Rossi: “Mi hanno raccontato di ieri sera!!”.
“Ti hanno raccontato cosa?” rispondo terrorizzato, “delle segretarie ubriache sul tavolo?”. “-No, no!-“, mi dice scuotendo la testa.
Dell’amministratrice delle relazioni pubbliche ubriaca sul pavimento?”. “-No, no!!-“.
“Dei tecnici ubriachi che cantavano le canzoni del Barmy Army?”. “No, no! Mi hanno raccontato di te!!!”.
“Di me?! In che senso?”.
“Mi hanno detto che sei il nuovo amichetto del mega-direttore supremo: vi hanno visto parlare tutta la serata!!!!!”
Ma tu pensa chi vai ad incontrare in certi locali, io mi dico; e sono pure certo con la mia fortuna l’unica cosa che si ricorderá sará quando gli ho dato del barbone e dello sfigato.
Oggi é accaduto un episodio — che mi riguarda in prima persona — che mi ha lasciato deluso ed amareggiato.
Dovete sapere che la giornata di oggi é riconosciuta dallo Stato come “Armistice Day” (o “Remembrance Day”) in memoria del giorno in cui, 92 anni fa, gli alleati firmavano la deposizione delle armi insieme alla Germania, decretando la fine della prima guerra mondiale. Il giorno é da allora celebrato ogni anno ed oggi include (aggiungo “comodamente” dall’alto del mio cinismo) tutti i soldati morti anche nelle guerre successive, di modo che effettivamente é diventata la “giornata dei caduti in guerra”.
Non fate errori: la celebrazione é chiamata “giornata dell’armistizio” per fare credere che riunisca tutti quelli che soffrono per avere perso un parente in guerra, ma in realtá, per dirla in una frase concisa, “ognuno piange i suoi”; insomma qua si celebrano le truppe britanniche.
Poi, se mi posso permettere un commento un po’ insolente (perché stiamo parlando di defunti), un osservazione personale che voglio dare é la seguente: la mia impressione é che il Regno Unito sia molto piú devoto alle proprie truppe di quanto non lo sia l’Italia con le sue; se avete occasione di girare per le strade della city, in questi giorni in particolare, vi sará impossibile non notare schiere di uomini e donne che indossano sulle giacche il ‘red poppy‘ (un papavero di plastica che sta ad indicare il supporto della persona che lo porta verso i soldati caduti in guerra), o la folla che si accalca all’Imperial War Museum per rivivere i giorni d’oro del nonno o del papá, o la fioritura di editoriali infiniti sui quotidiani londinesi che decantano eroiche gesta delle forze armate britanniche.
Un sentimento tanto forte conduce inevitabilmente a celebrazioni collettive; ed infatti non ha fatto eccezione la mia ditta, nella quale stamani (non so come sia riuscito a scamparla negli anni precedenti) abbiamo ricevuto un’email generale recante l’annuncio che “l’azienda si unisce alle celebrazioni del giorno della rimembranza: ci saranno due minuti di silenzio alle ore 11am”.
Dovete sapere che alle ore 10.58 stavo uscendo da un meeting con il mio capo; mentre tornavamo alle postazioni di lavoro lo speaker interno annunciava chiaramente che i due minuti di silenzio stavano per cominciare. “Beh,” mi sono detto, “Mentre facciamo i due minuti di silenzio ne approfitto per mettere per iscritto le cose di cui abbiamo discusso seduto tranquillamente alla mia scrivania”.
Bene: nel caso anche voi, come me, non siate imbevuti della perspicacia suprema per comprendere che i due minuti di silenzio non erano solo due minuti di “silenzio vocale” ma proprio due minuti di contemplazione religiosa intesa come “sospensione completa delle attivitá lavorative e raccoglimento generale”, beh, allora forse potrete comprendere la mia sensazione di sorpresa quando, al termine dei due minuti, il mio capo si alza per giungere alla mia scrivania e decantare la seguente frase: “Immagino che in Italia non sia usanza rispettare il silenzio per i propri caduti in battaglia“, alla quale ingenuamente rispondo: “In che senso? Io ho partecipato ai due minuti di silenzio.“. “No,” mi risponde, “eri talmente assorbito dal tuo lavoro da non renderti conto che l’intero ufficio ti stava guardando: eri l’unico che stava lavorando“.
Colto da un onda non tanto di imbarazzo quanto di amarezza per il tono utilizzato, cerco di giustificarmi: “Beh, mi dispiace se ho offeso qualcuno, avevo inteso che erano due minuti di silenzio vocale, credo che le informazioni non siano state completamente chiare”.
Si accoda immediatamente una grigia zitella due scrivanie piú un giu, che proprio non riesce a trattenere il suo disappunto: “E’ evidente che sono due minuti di raccoglimento!!!!!111!!1!”. (Manco l’avesse mandata lei l’email — ma ti potesse venire una bella motilitá intestinale iperattiva con episodi di meteorismo ogni 11 Novembre, cosí rendi musicale il tuo momento di raccoglimento!).
A scenetta terminata (“terminata” per modo di dire, dato che casualmente per il resto della mattina nessuno dei miei colleghi ha avuto piú avuto niente da dirmi) ho cominciato a sentire quella sensazione di coltello nel fianco: é stata la frase “Immagino che in Italia non sia usanza rispettare il silenzio per i propri caduti in battaglia” che mi continuava a rimbombare nella testa… ore dopo mi sono reso conto di sentirmi ancora paonazzo, probabilmente quando gli altri avevano giá smesso di pensare alla vicenda. Mi sono sentito trattato in modo razzista, ingiusto, mi sono sentito nella mente oggetto di frasi come: “ma tanto a lui cosa gliene frega, in Italia nei due minuti di silenzio penseranno forse alle prostitute del presidente“, oppure “Sti italiani di merda che erano alleati con i tedeschi, avrá pensato ad Hitler“, o cose del genere. Forse esagero, ma dopo che ho saputo che c’é anche chi si é lamentato con la direzione perché “l’annuncio allo speaker era incluso nei due minuti che quindi non erano due minuti effettivi di silenzio” ho i miei motivi di lasciarmi andare in considerazioni.
Mi ha irritato in maniera particolare la realizzazione che io non rispettando i loro due minuti di silenzio li abbia potuti offendere: come entrare in sinagoga senza la Kippah in testa; ovviamente il loro disappunto non nasceva dal loro interesse che io potessi raccogliermi in silenzio per dirigere i miei pensieri verso miei ipotetici cari morti in guerra, semmai verso i loro.
In realtá, quello che ho fatto é essermi scusato per non aver assecondato i loro due minuti di silenzio per farli contenti, perché se avessi dovuto prendere una decisione pesata avrei fatto esattamente quello che ho fatto ed avrei continuato a lavorare; e non soltanto perché personalmente ritengo che quei due minuti di silenzio siano molto ipocriti e simbolici (quindi concretamente poco utili), ma perché, per quel che agli altri ne deve interessare, io potrei essere figlio di immigrati Iraqeni morti sotto fuoco britannico; la mia fidanzata potrebbe essere tedesca ed avermi raccontato di come il suo caro nonno é stato torturato dalle truppe britanniche nella prima guerra mondiale; potrei avere mille motivi per non volermi unire ai loro sentimenti e pretendo che loro siano consapevoli di questo; inoltre, quando sono immigrato nel Regno Unito, nessuno mi ha chiesto di giurare fedeltá alla Union Jack, o alla Regina, e presumo quindi che io possa continuare a credere nelle mie ideologie politico-economiche di piacere.
Sempre valutando a ritroso l’evento, ho deciso che dall’anno prossimo in quei due minuti usciró dall’ufficio, sempre per rispetto, e, se qualcuno mi chiederá il perché, riporteró semplicemente il mio punto di vista: che non capisco il motivo per cui si debba dare piú valore ad un caduto in guerra rispetto ad un qualunque caduto sul lavoro — dato che ritengo della stessa cosa si tratti — né comprendo perché il soldato che muore tentando di uccidere un’ altro soldato debba avere piú dignitá di mio nonno morto scivolato su una putrella del tetto di casa mia. E non credo che soltanto i soldati possano onorarsi dell’ “essere caduti mentre difendevano il proprio paese”, perché allora tutte le scorte personali che sono saltate per aria mentre portavano un magistrato in tribunale, o gli artificieri che sono esplosi mentre cercavano di disinnescare una bomba piazzata da terroristi (magari pure loro concittadini), o semplicemente tutti quei cittadini iraniani, o pakistani, o di qualunque paese del mondo, che volevano solo uscire a comprare il latte e si sono trovati una pallottola “alleata” tra di denti, che ne é di loro? Ce li hanno anche loro i due minuti di silenzio ed i fiorellini da appendere alla giacca?
Trovo sia troppo semplice simbolicamente ricordare, e pretendere che anche gli altri lo facciano, quando su argomenti tanto delicati ci si perde cosí facilmente in sterili simbologismi.
Questa cosa fa smuovere un pochino la coscienza, perché penso che volevo davvero chiedere la cittadinanza britannica l’anno prossimo, credevo che ne sarei stato onorato, ma in un attimo mi rendo conto che non saró mai un cittadino britannico, né ai miei occhi, né agli occhi degli altri. E’ tutto talmente stupido: troppi ragionamenti vertono attorno a linee immaginarie che determinano come la gente si aspetta che tu ragioni: come costruire le proprie paure ed i propri timori, come definire il giusto dallo sbagliato, il buono dal cattivo, il bene dal male.
Forse i miei colleghi credono che se mi trovassi in Italia indosserei il papavero per i “miei” soldati, o mi recherei all’Altare della Patria a lasciare i fiori ai miei antenati?
Io non credo nel nazionalismo e non sono patriota. Sono nato in Italia ma avrei potuto nascere in qualsiasi altro stato del mondo, non appartengo a nessuno stato; semmai appartengo alla razza umana: se piango, piango per quella.
Ecco perché non ho speranze di vita in nessun’altro posto che non sia una metropoli: ho bisogno di un punto di incontro dove persone di diverse nazionalitá si sentono allo stesso livello e non danno cose per scontato, hanno loro idee, discutono, cambiano, si influenzano, accettano di farlo per il fatto di trovarsi lí. Non si aspettano ragionamenti di un certo tipo perché sono nati in certi posti, e usano il termine “nazionalitá” per definire il proprio passato ma il proprio futuro.
Oggi, nella terra dei disadattati, si festeggia il giorno della memoria da dimenticare.
Una notte di Ottobre del 1789 un folto gruppo di cittadini, carico delle idee ed i sentimenti di un’intera nazione, marció da Parigi a Versailles senza tornare indietro fino a che non ebbe rimosso dal trono, con la forza, una classe di monarchi incapace di gestire i problemi del paese; la nazione soffriva di una completa destabilizzazione dei livelli della societá, di un’economia distrutta da una pessima gestione del patrimonio nazionale, di un livello di tassazione inadeguato ed ingiusto verso i cittadini, ed alla direzione della nazione sedevano ricchi nobili che si interessavano esclusivamente dei propri bisogni ed interessi. Nel giro di tre anni la classe feudale, nobile e religiosa venne pesantemente o completamente privata dei propri privilegi, lo stato si avvicinó ad un modello di uguaglianza sociale, politica ed economica; la chiesa — la cui influenza sulla pubblica opinione e sulle istituzioni le permetteva l’esenzione dal pagamento delle tasse ed un possiedimento di circa il 10% dei terreni dello stato — venne ridotta al livello di un’azienda statale, e lo stato viró verso una societá di tipo secolarista.
Il dispiacere nel vedere che, nel 2010, uno stato che si trova in simili condizioni ancora non trovi il coraggio di riprendersi in mano il potere é francamente disarmante ed al tempo stesso curioso.
Da un lato, noterá qualcuno, gli italiani non sono ancora alla canna del gas e, pur con un debito pubblico ad un passo dalla bancarotta, il malcontento é per ora esclusivo delle fascie di reddito basse; dall’altro lato, semplicemente osservando oltreoceano, un popolo in condizioni decisamente migliori é sufficientemente consapevole ed esigente da dichiarare all’uomo che ha introdotto la copertura sanitaria nazionale in America che sta per essere spedito a casa perché “anche se con la sanitá hai fatto un buon lavoro, il nostro primo interesse erano i posti di lavoro e la sanitá veniva solo seconda”.
Coraggio nasce da consapevolezza: ma all’Italia manca sia la consapevolezza dell’America del 2010, sia il coraggio della Francia del 1789.
Anche ove l’informazione sugli avvenimenti di attualitá é carente o manipolata e giustifica in qualche modo l’ignoranza, l’italiano manca comunque dell’autostima necessaria al rendersi conto di quanto merita; un qualsiasi cittadino europeo, credente in un’idea chiamata democrazia, difficilmente investirebbe il proprio voto in un leader provato per essere un corruttore di giudici, un manipolatore di istituzioni pubbliche, un legislatore ed usufruttuario di leggi ad personam, un falso, un amico di mafiosi, un noto perseguitore dei propri interessi sopra quelli degli altri; uno qualsiasi di questi elementi sarebbe sufficiente a rimuovere la compatibilitá non solo del candidato, ma del partito che lo ospita, verso un qualsiasi ruolo di peso istituzionale, indipendentemente dal partito o dal candidato. L’Italia non possiede putroppo l’autostima per comprendere quanto ci sia di sbagliato in questi elementi, ed é anzi convinta che si trattino di indici di ammirevole destrezza politica (se si fosse voluto eleggere un imprenditore onesto a capo del paese si sarebbe potuto propendere per, chessó, Mario Moretti Polegato).
Invece si é deciso che la persona piú adatta al ruolo é quella che arriva al numero uno barando, eliminando la concorrenza con il fango, controllando l’informazione; per questo compito, nessuno meglio di Silvio Berlusconi: altrimenti non si spiegherebbe come mai da settimane gli italiani non si dilettino in nient’altro che farsi intrattenere dalle fotografie di ballerine e menestrelle che per denaro avrebbero messo il regale salsicciotto in forno (ossia la cosa meno grave che Berlusconi abbia fatto da quando é in politica) come se tutto il problema vertesse attorno alla faccenda morale; fa invece poca o nessuna notizia quello che dovrebbe essere vero motivo di scandalo: il fatto che un primo ministo abbia fornito ad una istituzione pubblica informazioni false per ottenere il rilascio di una persona sotto indagine allo scopo di ottenere un beneficio personale, ammettendo il fatto pubblicamente, vantandosene, e rifiutandosi di vederne il problema.
Ci si fa polverone di polemiche su barzellette razziste, battute antisemite, esternazioni omofobe, corna in foto di gruppo ed altre uscite di questo genere, e nessuno ha niente da dire sul muro di problemi e di contraddizioni che questa persona porta sulle spalle ogni volta che si aggira in un un’istituzione pubblica. Come se ci si potesse comportare legalmente male e moralmente bene. Come se l’Italia avesse piú problemi con il fatto che il presidente paghi una puttana piuttosto che un giudice.
L’italiano non sa niente e da questo punto di vista la fine di Berlusconi non porterá niente: Berlusconi rappresenta quello che gli italiani vogliono vedere, ed alla sua caduta verrá eletta la persona che si saprá dimostrare piú simile a quello che gli italiani vogliono vedere. E’ ingenuo sperare che con la fine di Berlusconi coincida l’inizio del nuovo rinascimento italiano, esattamente come é ingenuo pensare che con la fine dell’era berlusconiana coinciderá l’interesse delle masse verso la questione del conflitto di interessi, verso la fedina penale pulita all’interno dei partiti, verso la questione morale — tutte cose delle quali non é mai stato visto un problema negli ultimi 15 anni con Berlusconi in carica, figuriamoci senza.
I ricchi resteranno ricchi, i poveri resteranno poveri, i furbi resteranno furbi; ma la vera rivoluzione, di cui l’Italia avrebbe tanto bisogno, si profila sempre in lontananza, ben oltre la caduta dell’uomo chiamato Silvio Berlusconi.

|
|
Latest comments