Giornalismo Italiano

Ci sono persone che, vivendo in Italia e parlando solamente l’italiano, leggono solamente giornali italiani e, magari, si convincono che questi comunichino le notizie in modo “normale” poiché tutti le danno allo stesso modo.

Per capire quanta differenza ci sia nel modo di comunicare le notizie in Italia ed — esempio — nel Regno Unito, c’é un trucco molto semplice: é sufficiente confrontare la stessa notizia.

Alcuni di voi ricorderanno di avere letto lo scorso Dicembre di due accoltellamenti avvenuti in centro Londra durante le spese di Natale. Ebbene, trovo curioso ed istruttivo confrontare come BBC News e Repubblica abbiano riportato la stessa notizia ai propri lettori. Parliamo di un normale caso di cronaca! Seguitemi in questa breve analisi:

 

Titolo di BBC News: “Accoltellamento ad Oxford Street: teenager muore vicino a Foot Locker”.
Titolo di Repubblica: “Sangue a Londra sui tradizionali saldi. Due accoltellati a Oxford Street, uno ucciso”.

Teniamo i commenti per la fine e proseguiamo sulla parte che segue il titolo — credo che giornalisticamente parlando si chiami “catenaccio”:

BBC News: “Un diciottenne é stato accoltellato a morte a Londra, su una delle vie delle shopping piú affollate del Regno Unito”.
Repubblica: “L’omicidio sotto gli occhi atterriti di migliaia di persone in fila per gli acquisti durante il Boxing Day, l’avvio delle vendite scontate a Londra. La polizia ha arrestato sei giovani di colore. In serata il secondo accoltellamento, fermati altri tre ragazzi. Forse una guerra tra le gang della città.”

Confrontiamo ora gli stralci che riassumo il circondariale della vicenda:

BBC News: “L’incidente é avvenuto mentre decine di migliaia di persone erano a caccia di saldi nei negozi dell’area, durante quello che era un giorno affollato per i saldi del Boxing Day”.
Repubblica: “In quella che sembra il frutto di uno scontro tra gang, un giovane di colore è stato mortalmente accoltellato nella centralissima Oxford Street sotto gli occhi inorriditi di migliaia di londinesi e turisti che accalcavano la mecca dello shopping in cerca di buoni affari”.

Confrontiamo le parti che parlano dei sospetti:

BBC News: “Tre maschi sono stati arrestati e sono in custodia. Il capo ispettore della polizia ha dichiarato che si pensa due gruppi di giovani fossero “opposti l’uno all’altro”.
Repubblica: “Sei giovani neri sono stati fermati, ma non è ancora chiara la ragione del delitto. Uno di loro sarebbe ferito. Il coltello a serramanico usato per l’omicidio è tipico delle guerre tra gang”.

Conoscendo l’arguzia del lettore abituale di questo blog non credo di aver bisogno di ripetere l’aggettivo che Repubblica riporta diverse volte — ben tre — e mai BBC News. Perché questa precisazione viene ritenuta necessaria? Qual é il ragionamento che viene fatto da Repubblica per concludere che questa informazione debba essere fornita al lettore? Perché il lettore italiano dovrebbe essere interessato a quest’ aspetto mentre quello britannico no? Inoltre, avendo letto entrambi gli articoli, ritenete che quello di BBC abbia omesso un dettaglio importante?

La seconda cosa che balza all’occhio é che Repubblica non si limita a riportare il fatto ma sensazionalizza con un titolo che coinvolge emotivamente: questo tono viene mantenuto per tutto il resto dell’articolo.

Certamente nel Regno Unito come in Italia ci sono decine di tabloid-spazzatura che riportano notizie in maniera prevenuta o manipolata, ma BBC News e Repubblica sono considerati nelle rispettive patrie come due grossi e rispettabili gruppi giornalistici — quindi stiamo paragonando il “top” del giornalismo delle rispettive nazioni e non, chessó, il Sun a Il Giornale. Come detto ad inizio articolo, ritengo che si tratti proprio del modo di fare giornalismo in Italia, a livello nazionale e culturale. Resta da domandarsi come si debbano prendere tutte quelle notizie che non vengono tradotte all’estero e non sono quindi paragonabili.

Ad ogni modo, concludo regalandovi una parentesi comica fresca di giornata, relativa alla “scoperta” che la torre del Big Ben é inclinata di 0.26 gradi ed — udite udite — ha delle crepe:

Stralci di diversi articoli di BBC NEWS: “Non c’é palazzo storico che non abbia crepe”. “Il palazzo rimane strutturalmente stabile”. “Nessun motivo di preoccupazione”. “Le crepe risalgono all’epoca della costruzione della torre stessa”. “Nessuna riparazione verrá effettuata prima del 2020”.
Titolo di Repubblica: “Big Ben: Pazza idea a Londra. Restauri troppo cari: vendiamolo ai russi”.
Titolo di Corriere: “L’edificio di Westminster rischia il crollo e ristrutturarlo costa un miliardo di sterline e i deputati pensano di cederlo”.

Benvenuti nel giornalismo in Italia.

2012

E’ arrivato il 2012! …comunque se é arrivato non mi ha avvisato. Il mio cervello é ancora parcheggiato da qualche parte nei sintomi post-India. Ad esempio, ci ho messo due mesi per riprendere tre chili persi in due settimane — roba che quando l’ho comunicato con gioia dopo le ferie natalizie al mio capo questo mi ha risposto con un grugnito: “Beh, a me ci vorranno due mesi per perdere i chili che ho preso in due settimane, quindi non ti lamentare tanto“. Avrei voluto rispondere: “Beh, non ti sei neanche fatto due settimane di diarrea a spruzzo quindi neanche tu non ti lamentare tanto” ma con gli esuberi in corso ho pensato che sarebbe stato meglio non alterarlo ulteriormente.

Sempre parlando di esuberi: il giorno prima della cena di Natale ci é stata recapitata una bellissima missiva che girava sulle seguenti linee “…a causa della preoccupante condizione dei mercati…”, “…visto e considerato l’eccessiva esposizione ai debiti della Grecia…“, “…ci hanno giá degradato quattro volte di fila…“,  “…i mazzi e i cazzi della Merkel…“, “…é giá bello se non vi licenziamo tutti…”, e annunciava dolente di essere costretta a lasciare a casa un centinaio di dipendenti. Peccato non abbia detto quali. Oh, che gioia. Ci si trova cosí alla cena di Natale in un’atmosfera surreale tipo film di David Lynch, con tanto di uomini del mistero, loschi figuri, ballerini e mignotte (improvvisate), a guardarci in faccia probabilmente per l’ultima volta, in una serie crescente di suspense tipo eliminazione del grande fratello, che si é conclusa solamente la settimana seguente quando io ed i miei colleghi scopriamo di essere tra gli “scampati”. Hurrah!!
Nei festeggiamenti post-sollievo si unisce anche il capo dipartimento (sempre quello) che mi dice: “Matthew, ti ho visto incredibilmente rilassato alla cena di Natale considerato che eri quello piú a rischio di essere lasciato a casa” (=sei l’ultimo piú arrivato ed il piú giovane). Eh, non ho mica capito – dovevo piangere? Sará che ero troppo impegnato ad abbuffarmi gratis per riprendere i chili persi, o che giá mi immaginavo di venire chiamato a meeting da George Clooney, o che stavo controllando i saldi invernali della British Airways, o che stavo cercando di evitare l’anello avvelenato della coordinatrice che cercava di facilitare la scrematura dell’organico, o che a differenza degli altri colleghi non ho né casa né mutuo né figli né moglie né fissa dimora!
Se non altro nel 2011 l’ho girata mica male: Aprile ad Istanbul, Giugno in giro per la Normandia, Agosto a Valencia, Novembre in India, Natale a Berlino, Capodanno a Bergamo, primo dell’anno a Londra. Insomma: si fa quel che si puó, caro capo.

Ma passando a notizie di interesse piú generale, devo constatare ancora una volta il mio disappunto verso la popolazione italiana. All’avvento di Monti come capo del governo tecnico sono seguite trepidazioni, rulli di trombe e squilli di tamburi: ossia accolto come il salvatore della patria (d’accordo, sará stata anche la foga dell’essersi liberato di quell’altro); ma il momento di gioia é durato fino all’annuncio dei primi tagli. Perché forse gli italiani si aspettavano che Monti facesse sparire i debiti italiani come la carta igienica nel water. Quando sento i miei parenti lamentarsi per i tagli, e faccio presente che magari si poteva anche non votare Berlusconi/Lega per quattordici volte di fila, allora improvvisamente i tagli vanno bene, peró devono essere equi. Poi non fa niente se a Berlusconi – che in quindici anni non ha mai fatto un taglio equo, o una legge che non fosse per sé stesso – nessuno incolpa piú di niente. Sempre cosí gli italiani: ci si dimentica del passato, ci si lamenta del presente.
Monti é un ministro testa-di-legno, messo lí dalla Merkel per salvare gli italiani da sé stessi, per evitare all’Italia un fallimento disastroso, ed alle famiglie (con soldi investiti in titoli di Stato) di piangere lacrime amare. E’ tenuto in piedi dallo stesso parlamento che votava la fiducia a Berlusconi giurando che Ruby era la nipote di Mubarak, e che va a braccetto con evasori, mafiosi, e con la chiesa (basti pensare agli inciuci a Roma con gli appartamenti di proprietá del Vaticano). Queste persone in questo momento stanno zitte (tranne ovviamente quei due cialtroni fanno leva sulle estremitá piú ignoranti e disinformate della popolazione) e aspettano che la situazione migliori per uscire nuovamente dalle proprie tane. Ci si puó veramente aspettare che Monti, poggiato su questa gente, si metta a bastonare gli evasori, scovare i mafiosi, che faccia pagare l’ICI alla chiesa? Io non credo. Monti fará quello che é stato messo lí a fare: ridurre il debito pubblico senza pestare troppi piedi; andrá quindi a bastonare le uniche persone che possono essere tranquillamente bastonate: chi paga le tasse.
Dunque il consiglio per la prossima volta é di stare piú attenti a chi si vota, non di lamentarsi del governo tecnico scelto dagli altri – che paradossalmente é quello che funziona meglio. E la prossima volta che votate non scegliete un ladro perché é “meno peggio” di un altro ladro, piuttosto non votate.

Ma passiamo al Regno Unito.
Qua si tira avanti, la crisi c’é, ma come sempre si punta sull’ottimismo e si spera in una rapida ripresa. Cameron non é nemmeno tanto odiato e la mia sensazione a pelle é che sia considerato un buon leader (ossia: é raro sentirne parlare male). La sua piú recente uscita é stata quella di chiamarsi fuori dalle nuove proposte europee in termini di controllo del debito e regolamentazione delle banche, dando uno schiaffo morale a Merkel e Sarkozy; in sostanza Cameron si é rifiutato 1) di allineare il City of London alle nuove regole che verranno applicate alle banche degli altri Stati Europei per evitare ulteriori crack finanziari, quindi lascia Londra indipendente e permette la creazione di leggi per ridirezionare le proprie banche direttamente a livello nazionale (se ce la fa) e 2) di evitare di sottomettersi a sistemi di “controllo” quali sanzioni europee automatiche per Stati che sforano il deficit annuale piú di una data percentuale all’anno.
Il veto di Cameron al convegno europeo é stato molto dibattuto. Alcuni eurofobi lo hanno plaudito per aver permesso al Regno Unito di rimanere indipendente, ed hanno manifestato il timore che tutta quest’idea dell’Europa unita non sia altro che parte di un piano della Germania per rimanere a capo di uno Stato chiamato Europa (lasciamo perdere il Sun che ha paragonato Cameron a Churchill…). Altri eurofili hanno criticato il leader britannico per avere tagliato la nazione fuori dall’Europa e prevedono l’isolamento ed il collasso finanziario della stessa nel giro dei prossimi anni, a causa della complicatezza data dal gestire il divario delle diverse regolamentazioni dal punto di vista di un investitore estero — insomma se la comunitá europea é stata creata per poter competere uniti contro “mostri” come America e Cina, ora il Regno Unito dovrebbe competere da solo anche contro l’Europa.
Personalmente, come cittadino Europeo (sinceramente mi sento piú europeo che non britannico o italiano) mi spiace che non possiamo essere una grande famiglia; dall’altro lato capisco anche che non siamo esattamente gli Stati Uniti d’America, e che fino a sessanta anni fa i nostri nonni s’infilavano le carabine tra i denti l’un l’altro e si bombardavano pure le case a vicenda. Peró, come londinese, mi viene comodo che quando vado al cambio e consegno £200 ne ricevo in cambio €247 (certo, nel 2006 sarebbero stati €300, e nel 2009 €200, ma fa parte del bello dell’essere indipendenti). Quindi ci vorranno anni ed anni prima che si possa decretare se la mossa di Cameron sia stata azzeccata o meno. Di certo ne avremo di che parlare.

Detto questo, auguro a tutti voi un fantastico 2012, ricco di sorprese possibilmente positive e, sopratutto, tanti bei viaggi.
Ed ora scusatemi, torno a mangiare.

Life After Silvio?

Ricordo benissimo il momento in cui ho ricevuto la notizia delle dimissioni di Berlusconi: mi trovavo ad Heathrow, al gate, in fila per l’imbarco sul volo per Delhi (chiaramente la prima cosa che ho pensato é che il mio l’aereo si sarebbe schiantato in oceano aperto); constatata la bontá della notizia, mi sono portato a domandarmi quello che giá Cher intelligentemente si domandava del ’98: “Do you believe in life after Silvio?” (Come? Non era cosí? Forse é come la cantava Vespa).

Effettivamente é una domanda lecita, e spontanea. Per gli italiani questa non é la fine di un governo, ma di una relazione, che tra incomprensioni e bisticci domestici si é trascinata per piú di quindici anni. Berlusconi é stato per l’Italia il marito da lasciare: quello che torna a casa la sera ubriaco, che non raccoglie i calzini, che va a mignotte e lo nasconde malamente, che gira per casa in canottiera e mutande anche quando ci sono ospiti, che rutta a tavola, che si incazza se la cena non é pronta al rientro dal lavoro.
Ora Berlusconi se ne é andato e gli italiani si ritrovano improvvisamente come la donna dell’esempio succitato ove il marito sia stato appena arrestato: investiti da un’ondata di cambiamenti che lasciano spazio alla solitudine, al disorientamento, all’incertezza, alla confusione. Si osservano attorno: in tavola il piatto é vuoto, la dispensa é deserta; improvvisamente si rendono conto di avere le braghe calate e di essere senza un centesimo nel portafogli. Da un lato la sensazione che l’evento forse non é poi cosí negativo, dall’altro l’inquietante consapevolezza di dover ricominciare. Giá, ricominciare, ma da dove?

Il problema degli italiani é che sono stati lasciati per troppo tempo in uno stato di ignoranza forzata; ed ove l’ignoranza non arrivava, lo faceva l’ingenuitá. Ingenuitá che ancora persiste: come il pensare che Berlusconi se ne sia andato di propria volontá, per scelta, per il bene del paese, addirittura.
Ma parliamo di un uomo del quale l’unica coerenza dimostrata nel corso degli anni é stata quella dell’interesse delle proprie aziende sopra quello degli italiani, dell’utilizzare la televisione per manipolare la propria percezione sul paese, dell’utilizzare la posizione di privilegio amministrativo per legiferare a favore dei propri interessi personali, del non provare alcun senso di vergogna o imbarazzo di fronte alle reazioni di ogni Stato mondiale democratico ove la veritá non poteva essere manipolata, del negare il coinvolgimento in scandali ove le prove fossero traballanti — e vantarsene ove queste diventassero certe.
Il fatto che i problemi piú seri (e per seri intendo “piú rilevanti su scala internazionale”) siano venuti a galla nel corso dell’ultimo anno, ed improvvisamente l’Italia si sia rivelata pubblicamente come lo Stato piú preoccupante dell’intera comunitá europea, al punto di trascinare l’intera eurozona sull’orlo dello scioglimento, sembra un fenomeno inspiegabile ed inconciliabile per i poveri italiani disinformati.
Ma l’ingenuitá é pensare che l’Unione Europea potesse rimanere a guardare mentre un nonno incompetente e disinteressato ai problemi del proprio paese lasciava affondare la nave negli abissi della bancarotta, trascinando con sé ventitré Stati membri ed una moneta unica, perché troppo impegnato con gli affari propri. Berlusconi é stato eliminato, come lo é stato Papandreou poco prima per l’aver suggerito un referendum che avrebbe portato la Grecia fuori dall’Europa e che l’Europa non avrebbe permesso.

Quindi da un lato gli italiani devono gioire di essersi finalmente liberati di quell’uomo che tutti i vicini di casa sussurravano “non fa per te, lascialo, tu meriti di piú”, ma dall’altro lato vergognarsi dell’essere stati incapaci di farlo con le proprie mani: se non fosse stato per il pericolo che l’Italia rappresentava (e rappresenta) per le finanze europee, nessuno sarebbe intervenuto: si sarebbe tranquillamente andati avanti per con altri vent’ani di bunga bunga e scandali a corte mentre il paese avrebbe continuato ad affondare di una profonditá pari allo spread dei bond Italia- Germania, fino a raggiungere il certo fallimento. Il parlamento italiano poi, quello che poche settimane prima dava la fiducia al governo Berlusconi confermando che una lap-dancer diciassettenne marocchina era effettivamente la nipote di Mubarak, improvvisamente si incensa il capo per dare pieno supporto al governo Monti. Insomma gli studenti si ricompongono, si rimettono in silenzio e fingono di riaprire i libri. Persino soubrettes zelanti alzano la scollatura e passano ad una tonalitá di rossetto meno sgargiante mentre sgattaiolano dietro le righe per timore che qualcuno si possa rendere conto che sono delle complete incapaci.

Ma aspettate, perché non é finita. Lui ritornerá. Buttato fuori dalla porta, lo vedremo rientrare dalla finestra.

Dopotutto, se ci pensate bene, con lui non era poi cosí male: non é vero che non ci amava, non é vero che non si interessava a noi; con lui non c’erano tutti questi problemi, ci ha sempre intrattenuto con intermezzi divertenti, ha tolto quella noiosa patina di serietá che affliggeva la politica, ha tolto l’ICI sulla prima casa, non ci ha mai tassato come quest’altro, ci ha protetto dalla pericolosa risalita dei comunisti italiani, ha riformato la giustizia, stava per sconfiggere il cancro, ha creato un sacco di posti di lavoro, ha protetto le pensioni. O almeno questo é quello che la casalinga ha bisogno di sentirsi dire per riaprire la porta.

India

Eh, giá, sono in India.

Perché? …boh.

Il motivo é che una mattina di Novembre londinese (con i suoi nove gradi centigradi) vengo approcciato dalla mia granitica capa che con il pugno sulla scrivania mi apostrofa: “Come ti permetti di avere ancora due settimane di ferie residue da consumare a Novembre?! Vai subito in vacanza!”. La adoro quando fa cosí.
Indeciso sul dove andare guardo il mappamondo e mi dico: “Allora, voglio andare in una nazione a me inedita, in cui faccia caldo, in cui costi poco la vita, ed in cui ci sia il Taj Mahal“. Dopo attento vaglio di tutte le nazioni che corrispondono a questi requisiti ho infine deciso per l’India.

Vi risparmieró la trafila della caccia al biglietto piú economico (=“British Airways vuole £670 mentre Oman Air solo £390, peró con la seconda faccio scalo nel Golfo e non é garantito che riparto con entrambi i reni. Ok va bene Oman Air”), visto turistico (=“documenti, fotografie, bollettini, certo che questo consolato appena ci entri é come essere giá in India…”), dell’assicurazione di viaggio (=“questa copre apoplettica morte, cancellazione volo, calamitá naturale, rivolta civile ed invasione aliena, puó andare?”), dei vaccini (=“epatite: check. Poliomerite: check. Tifo: check. What about Ebola?”), delle medicine (=“antimalarici, antidiarroici, antipiretici, antigravidanza, whoops that’s a bit too much”) e passiamo invece al piatto forte: l’esperienza in sé.

Delhi: Delhi é un casino assoluto, una via di mezzo tra Napoli e le Paludi Morte del Signore degli Anelli: caotica, rumorosa ed inquinata; straccioni moribondi e truffatori disposti come aquile ad ogni angolo aspettano soltanto di avvistare qualcosa che rassomigli vagamente ad un turista per attaccarlo con le loro tecniche specializzate (alcune donne sguinzagliano orde di bambini che vi supplicheranno tirandovi per le maniche [ma voi provate a far sventolare una moneta e chiamerete a raduno i barboni di mezza Delhi tipo piccioni al parco…] alcuni giovani vi approcciano fingendovi di aiutarvi salvo poi darvi false indicazioni per farvi entrare nell’ufficio dei loro “amici”); ci sono cani randagi ad ogni angolo che aspettano solo di essere importunati per potervi passarvi con gioia la rabbia, e tutta la cittá in generale é coperta da un persistente odore di orina; Insomma l’unico pilastro di certezza sono le vacche: si fanno i fatti loro e non vi rompono mai le scatole.

Agra: Agra é stata molto diversa. E’ una piccola cittá quindi i turisti ci vanno per visitare il Taj Mahal ed immediatamente se ne vanno a fanculo altrove; tuttavia dato che avevo un giorno extra ho assunto un guidatore locale per mostrarmi la vita “off the beaten track” ed… é stato abbastanza shockante. La vita fuori cittá é molto dura e la gente fa tutto per strada: si tagliano i capelli per strada, mangiano per strada, persino si lavano per strada… ma di sicuro sembravano felici. Alla mia vista impazzivano letteralmente di gioia: grandi saluti, curiositá attorno all’auto per vedermi da vicino, tutti che volevano stringermi la mano (fa niente se avevano appena finito di pisciare per strada…), grandi sorrisi e nessuno mi ha mai chiesto denaro. I bambini in particolare mi adoravano e quando ho dato loro le barrette di avena che avevo portato da Londra é stato come se avessi dato loro i pezzi di un’astronave. L’altra cosa bella di Agra é che ho soggiornato a casa del buon Colonnello Lamba e sua moglie (qua il loro sito, in caso capitaste ad Agra); una sera é saltata la corrente (un evento piuttosto comune a quanto mi dicono) e mi hanno invitato a bere il the con loro, e mi hanno raccontato storie di vita in India: come acchiappare serpenti velenosi, come portare i bufali a fare il bagno nel fiume, come fosse lavorare nell’esercito Indiano al tempo della seconda guerra mondiale, e cosí via. E’ stato davvero unico, ed interessante.

Purtroppo ad Agra sono anche stato male. E’ stato piuttosto brutto (ho avuto il tris completo: diarrea, vomito e febbre – olé). La cosa peggiore é che é successo proprio poche ore prima di prendere un treno delle 5.10 per Jaipur (un viaggio di quattro ore e mezza…), ero uno zombie, ma non ho avuto scelta quindi mi sono costretto a scendere dal letto… sono arrivato all’hotel di Jaipur disidratato e moribondo (praticamente sembravo giá un locale), ma fortunatamente avevo portato una farmacia ambulante con me e mi sono ripreso in fretta… dopo un giorno chiuso in camera per riposarmi. E’ sempre orribile quando stai male in un posto che non riconosci come casa.

Jaipur: Jaipur é davvero una bella cittá (e credo anche piú ricca, dato che ho visto pochi mendicanti, un solo truffatore, nessun moribondo accasciato per strada, etc). Ho fatto amicizia con un guidatore di rickshaw di 22 anni che mi ha mostrato la cittá (é una di quelle persone che non ha mai lasciato la sua cittá ma da come parla ti dá l’impressione che abbia visto il mondo). A Jaipur finalmente ho iniziato a godermela. Abbiamo visitato fortezze, fatto shopping al bazaar, dato da mangiare a scimmie al tempio, importunato l’elefante tirandogli la proboscide, visto incantatori di serpenti, scambiato parole con i monaci del tempio. Questo é sicuramente piú vicino a quello che mi aspettavo di trovare in India. Le persone stesse sono piú aperte e amichevoli, e quando ti parlando puoi anche non dare per scontato che finiranno per mandarti in qualche negozio o chiederti dei soldi: nella maggior parte dei casi sono solamente curiosi di sapere da dove vieni, vogliono parlare in inglese, o vogliono una foto con te.

Al ritorno verso Delhi il treno é rimasto bloccato per tre ore nel buio piú totale, nel mezzo della campagna indiana, per avere messo sotto una vacca (…welcome to Incredible India…).

Questo viaggio ancora una volta é un’esperienza. Metterci Londra alla partenza ed all’arrivo aggiunge quel “salto” che mi fará cambiare come persona. Ad esempio non saprei cosa pensare oggi di quei barboni all’uscita della tube: hanno tutte e due le braccia, tutte e due le gambe, sono in buona salute, spesso hanno anche il lusso di essere sovrappeso, peró ti mandano a fanculo se regali loro una barretta di cereali perché loro volevano una birra, o meglio ancora dei soldi (n.b. per comprarsi una birra). Forse hanno bisogno di qualche settimana nel circondariale di Agra per ritrovare l’allegria. E che dire dei giovani che hanno partecipato ai riots per noia? E dei fat-cats che creano bolle finanziarie sulle spalle dei cittadini per infilarsi in tasca il bonus milionario?  Diciamo che forse ci sarebbe bisogno di un po’ piú di India per tutti. Ma questo non per guardare in faccia la povertá. Per imparare ad essere felici di quel che si ha. Guardando la nostra societá sembra ci siamo immessi in una scalata consumistica senza fine: piú si ha e piú si vuole. La guerra all’ultimo iphone, all’ultimo ipad…  in realtá abbiamo il 200% di quello che ci serve, il 99% di quello che vogliamo. Abbiamo tutto, eppur raramente a Londra ho visto persone per strada sorridere come ne ho viste in India.

La cosa piú bella da imparare é comunque che, per quanto lontano puoi viaggiare, trovi sempre brave persone, esseri umani che ti riconoscono come un essere umano, che provano le tue stesse emozioni, con le quali chiacchieri e ridi fino a dimenticarti che sei lontano da casa. In fondo, il mondo é fatto dalle persone, e sono le persone che fanno di questo mondo un bel posto.

Eh sí, lo so — volete le foto. Eccole.

Delhi – https://www.facebook.com/media/set/?set=a.10150482709201929.430788.611931928&type=1&l=d4c7330c7f

Agra – https://www.facebook.com/media/set/?set=a.10150490390421929.431682.611931928&type=1&l=3a9b2c6930

Jaipur – https://www.facebook.com/media/set/?set=a.10150499180571929.432774.611931928&type=1&l=0fc6e3d0a4

Peace.

selvadurai@me.com; Lorena Minigutti; micmo03@googlemail.com; johana.ollivier@uk.calyon.com; ‘susan.smith@ca-cib.com’; ‘goulla.stavrou@ca-cib.com’; ‘musa.yusuf@ca-cib.com’; lilia.car26@gmail.com; Magali (magalimerlo@gmail.com); m_ela77@yahoo.it; suardiroberto@alice.it; yukotochii@hotmail.com

Cycling to Work

Quando, nel mezzo di una chiacchierata informale, il mio tipico interlocutore scopre che mi reco al lavoro in bicicletta ogni mattina, sento sempre rivolgermi commenti che variano dal sincero apprezzamento alla profonda invidia: “Eh, ma che culo, almeno tu non ti devi sorbire quaranta minuti di viaggio spappolato sulla tube come in un carico di immigrati clandestini“; “Eh ma beato te, almeno non passi il momento più fragile della tua giornata con il naso foderato nell’ascella del tuo vicino sovrappeso che alle sette di mattina già é sudato come un porco“; “Eh ma che culo, tu non devi affrontare ogni mattina un viaggio in posizioni equivoche, su di un bus guidato da un’autista ubriaco che ti fa rivedere la colazione“.
Oé, ma avete mai provato a girare con la bici nel traffico mattutino londinese?!

Premesso che nove mesi su dodici la temperatura esterna é talmente bassa che quando arrivi al lavoro ti devono scartare tipo baccalà del Billingsgate Market — e non puoi nemmeno comunicare con i tuoi colleghi perché ti ci vuole qualche minuto per riprenderti dalla paresi facciale; poi, quando non stai evitando tassisti assassini che cercano di metterti sotto per avere qualcosa da raccontare al pub in serata, o pedoni con desideri suicidi che si lanciano sulla strada tipo quindicenni sotto al palco di Justin Bieber, allora puoi stare certo che ci sarà almeno una betoniera piena di catrame che aspetterà soltanto te per omaggiarti con una gradevolissima aromaterapia, o un bus a due piani che ti sgaserà addosso un’abbronzatura dalla tonalità “Tramonto in Namibia” fino all’angolo prima dell’ufficio. In alcuni momenti di sonnolenza, poi, ti potrà capitare di trovarti in rotta di collisione frontale con un tir da 17 tonnellate, che con un dolce suono di clacson ti fa presente che stai guidando sulla corsia vagamente contromano. Cose che capitano.

Ma questo é nulla paragonato alla guerra tra i ciclisti ritardatari che, per guadagnarsi il primo posto al semaforo, ti infilano con un sorriso un ombrello in titanio rinforzato tra i raggi della bici o, più sportivamente, lo usano per agganciarsi al netturbino di passaggio (assicurandosi di salutarti al sorpasso). Ma per chi, come me, ha la sfortuna di abitare a sud-est di Londra, c’é anche una giornaliera impresa che si colloca tra il percorso-vita ed il biglietto della lotteria: il Tower Bridge.

Non solo la china sud é più bassa di quella nord, il che significa doversi inerpicare in salita con una tenacia pari a quella di Fausto Coppi al giro d’Italia, ma c’é un terribile rischio che incombe su chi osa attraversare tale ponte: quello di udire un rimbombo inquietante — tipo corno di guerra maori — che echeggia un cantico di morte tra gli ignari cittadini. Questo segnale viene immediatamente compreso dai ciclisti, consapevoli dell’usanza, che immediatamente assumono un’espressione di puro terrore. No, non si tratta di una dichiarazione di guerra da parte di una nazione estera: significa che il Tower Bridge si sta sollevando per far passare una nave.

Ecco che alcuni disperati impiegati ritardatari si lanciano nel fatale salto del ponte(*): alcuni — i più fortunati — verranno recuperati dall’altra sponda del fiume, solitamente dagli addetti ai lavori del Tower of London che, giá che ci sono, faranno fare loro la fine di Elisabetta I (per la gioia dei turisti). I più sfortunati verranno ritrovati poche ore più tardi, arenati senza vita tra i rifiuti della baia di Mile End, e di lí a poco venduti al dettaglio in qualche take-away cinese ove non osano i controlli sanitari. Per chi non avesse avuto il coraggio di prendere parte allo sconsiderato quanto disperato gesto non resta che intavolare la più classica delle manifestazioni di disappunto: una ola di insulti viene infatti sollevata da entrambi i lati del ponte: prima si inveisce contro il sindaco, poi contro il Parlamento; poi contro l’Inghilterra; infine contro il Regno Unito (si evita doviziosamente di coinvolgere la Regina). Dal tettuccio di emergenza del bus numero 47 fa spola la bandiera dei pirati e segue dichiarazione di guerra alla sala macchine con tentativo di assalto frontale, ma non c’é niente da fare: i manovratori bene abituati a tali tattiche sono già barricati al’interno della sala blindata, con tanto di esplosivo ereditato dai partigiani dalla seconda guerra mondiale e che minacciano di usare. Dopo breve ridiscussione dei piani é evidente che alla nave sarà permesso il passaggio.
Passano quindici interminabili minuti, al termine dei quali, infuriati ed allibiti, cominciamo a macinare commenti di autocommiserazione: “Sicuramente stará per passare qualcosa di importante, di molto importante: chessó, il HMS Belfast… il Cutty Sark… il Mary Rose…”magari. Purtroppo, come sempre, scopriamo che la nave che ci ha fatto accumulare un ritardo colossale non é altro che una moderna nave da crociera extralusso, dal ponte della quale grassi tedeschi mangiacrauti e sovrappeso ci salutano con gioia, scattandoci anche tante belle fotografie (poi a casa si sentiranno domandare come mai così tanti londinesi fanno il dito medio nelle foto).

Così, dopo soli 30 minuti di imbarazzante ritardo, giungo finalmente al lavoro: stanco, congelato, malnutrito ed alterato. Scopro che non é andata molto meglio agli altri colleghi: uno ha fatto tardi perché il solito trader in bancarotta ha scelto proprio quella linea e quell’ora per farla finita; l’altro perché il solito gruppo di idioti ha pensato bene di rubare i cavi dell’elettricità fermando l’intero treno; l’altro per colpa del solito signal failure (con lla sveglia). Uno ad uno, strisciamo verso la scrivania in silenzio ed imbarazzo, cercando di mimetizzarci sulla moquette ma (figuriamoci) il direttore, che é già al lavoro dalle sette di mattina, non può fare a meno di lanciare un commento simpatico verso gli ultimi arrivati, che — casualmente — si conclude verso il sottoscritto con un “…certo che almeno tu, che vieni al lavoro con la bici...”.
Carissimo, sai cosa ti dico? Se lavorassi per il FSA proporrei come regola europea un corso obbligatorio per tutti i direttori di banca: un giro obbligatorio su una di quelle biciclette scassate della Barclays — quelle di plastica che vanno a un chilometro all’ora anche a spingerle in discesa — e costringerli a farsi una sana pedalata in centro, magari alle 17:05, quando i gas di scarico delle auto fanno quella bella nebbiolina opaca e le segretarie ubriache si fiondano verso il pub più vicino tipo uccelli di Angry Birds. Allora forse ti verrebbe un briciolo di compassione per noi poveri ciclisti che sopravviviamo in una delle cittá piú trafficate d’Europa. Ah, dimenticavo: e giá che ci sei perderesti qualche chilo.

(*)= NO, non si può fare veramente il salto del ponte, ci sono dei cancelli che ti impediscono di suicidarti.

 

Oby and the British Cuisine

Oggi voglio spezzare una lancia a favore della cucina britannica.
Non é assolutamente vero che il Regno Unito non ha una cultura culinaria, che qua mangiano soltanto schifezze, che non sanno accendere i fornelli del gas, che il vino é considerato primo piatto mentre tutto il cibo é contorno (ok forse quest’ultima cosa é vera): in realtá il Regno Unito ha una sua tradizione culinaria ed é pure dignitosa.
I nostri pregiudizi nascono dal fatto che, da italiani, é fin troppo semplice depennare una qualsiasi cucina straniera soltanto perché la nostra copre pressoché qualsiasi gusto o desiderio: lo sappiamo che ogni regione italiana ha un ventaglio di pietanze e dolci che da soli possono competere con una nazione a sé, ed anche se ci stancassimo della nostra cucina regionale sarebbe sufficiente dare una “sbirciata” alla regione accanto per trovare un intera nuova sezione di primi piatti, secondi piatti e dolci.
Peró, se si mette da parte l’orgoglio nazionale per un attimo, si possono apprezzare prelibatezze a noi sconosciute.

Un ristorante che secondo me fa da monumento alla cucina britannica é “S&M” (che vi prego — sta per Sausage & Mash, non per quell’altra cosa). S&M lo si trova ad Angel ed a Spitalfields e, come il nome chiarisce, si concentra su un piatto tanto semplice quanto soddisfacente: le salsicce col puré. Ma aspettate — lo fa con stile! Le salsicce sono buone come quelle della festa patronale della vostra cittá, il puré é quello bello solido e burroso che riscalda gli animi, e l’intingolo é un viaggio in paradiso che titilla le papille gustative. A parte questo, S&M offre anche magnifiche Shepherds pies with mushy peas, chicken and chips, jacked potatoes, goat cheese salads. Insomma é tutto molto rustico — lo adoro!
Quando si passa ai dolci c’é l’immancabile crumble of the day, lo spotted dick (avrete ormai notato che tra s&m, sausages, bangers e spotted dicks i riferimenti si sprecano…) con la custard cream, e il divino pudding.

Se non siete nei paraggi di S&M c’é un ristorante inglese su Frith Street chiamato Café EMM (Sottotitolato “Modern British Cousine” — dove “Modern” sta nel fatto che c’é anche roba non esattamente British): anche qua i Bangers and Mash sono da premio oscar, e ci sono le Pies fatte in casa che sono ottime (Good ‘ol Steak & Ale Pie su tutte). Di domenica c’é il Traditional Sunday Roast, che é proprio come quello della nonna inglese (che non ho). Inoltre non sono un fan del Fish&Chips ma mi dicono i miei amici britons che qui sia ottimo. I dolci sono deliziosi: l’Apple Crumble viene servito talmente caldo che il giorno dopo avrete il palato insensibile, lo Sticky Toffee Pudding é tanto soddisfacente quanto calorico, e cosí lo é anche la Lemon & Ginger cheese cake.

Ma questo é soltanto un accenno alla cucina britannica:  sotto le festivitá si scoprono ulteriori prelibatezze stagionali (le avete mai provate sotto Natale le deliziose mince pies?), ma sopratutto bazzicando con amici britannici di diverse cittá si scopre che ogni mamma ha almeno un “signature dish” che la distingue dalle altre (ho provato ad esempio un delizioso Chicken & Ginger cucinatomi dalla mamma di un amico).

La cosa bella é molte cose si possono cucinare da noi senza particolare difficoltá! Il mio consiglio é quello di cominciare con i dolci: la custard cream la si puó preparare con la custard powder in busta che si trova da Tesco (la migliore custard powder é prodotta da Bird’s); ma anche muffins, pancakes, fairy cakes, si cucinano tutti con facilitá e sopratutto colpiscono piacevolmente le mamme italiane in visita, che vedranno che la cucina britannica non é poi tanto male e forse la smetteranno di stracciarvi le palle chiedendovi di tornare in Italia ogni cinque minuti perché in Inghilterra mangiate male e siete magri e deperiti.

Five Years

Con questo post celebro i miei primi cinque anni a Londra.
Oddio. Che emozione. Ci vuole un discorso.

Voglio mettere subito in chiaro che ho intenzione di festeggiare in modo sobrio e contenuto: quindi vi voglio tutti qua per tirare le cinque di mattina in qualche putrido pub di periferia; ubriacarci fino a vomitarci addosso a vicenda; prendere la gonorrea da un gruppo di mignotte cingalesi clandestine; fare il bagno nudi nelle fontane di Trafalgar Square; farci bastonare dal Metropolitan Police fino a perdere i sensi con la faccia nel vomito.
Sono certo accorrerete in molti.

Comunque, in attesa dei doverosi festeggiamenti, riesco anche a trovare il tempo di domandarmi dove siano trascorsi questi anni.

Da un lato sono sempre piú convinto che a Londra il tempo scorra a velocitá doppia, dall’altro mi sembra di scuotere la testa dopo un momento di appisolamento e di ritrovarmi seduto alla scrivania del lavoro dal quale mi licenziai. Ho come la sensazione che una parte di me sia ancora congelata su quella scrivania, mentre l’io che sono adesso sia qualcosa di inesistente: un sogno creato da quella persona, che si é proiettato in una dimensione temporale parallela non materializzatasi.

Torno a leggere quel che scrivevo cinque anni fa in questo periodo (da questo punto di vista un blog é una preoccupante banca dati di evoluzione psicologica) e trovo interessante, curioso, quasi tenero, scoprirmi a leggere ció che stava scrivendo qualcuno che non sono piú io.
E’ vero che cinque anni non sono una vita, ma cinque anni cambiano una vita.

Provo tenerezza e mi compatisco da solo per quanto ero coraggioso ed intrepido, ma anche ingenuo ed inesperto; non pronto ad affrontare nemici di cui non conoscevo il nome. C’é una frase in particolare, che scrissi allora, che mi ha colpito: “Non è semplice motivare una scelta simile, perchè motivi per scelte del genere non sono mai racchiusi dentro ad un singolo perchè […] ma come una tartaruga nasce e si lancia in mare, io prendo il biglietto e mi lancio a Londra“. Ero ottimista e sconsiderato.
Il fatto é che quando stai per partire e lasciarti tutto alle spalle ti dici naturalmente pronto ad affrontare tutte le difficoltá necessarie a conquistare la tua  indipendenza (ed in realtá speri sempre ce ne siano poche), ma quando poi ti trovi veramente a piangere é un’altra cosa. Ma il dolore non fa meno male se ti dici che non ne hai paura. Devi accettarlo perché faccia meno male.
Oggi sono molto diverso rispetto a cinque anni fa, specialmente piú cinico e disilluso. Sarebbe bello poter tornare indietro e consegnarmi un manuale di istruzioni per evitare tanti momenti brutti e tenere soltanto quelli belli, ma immagino non sarebbe la stessa cosa. Decisioni prese nell’inesperienza producono un risultato che genera esperienza per la decisione successiva.
Sono ancora felice, ma oggi la felicitá scaturisce da cose piú reali, piú materiali, meno emotive. Un po’ come il bambino gioisce per un cartone animato in TV, mentre il genitore gioisce per un esito medico all’ospedale. E’ una cosa piú adulta.

Londra ti cambia, ti addestra a diventare parte del processo, a comportarti in certe maniere per sopravvivere, anche se tu non lo accetti. Impari le regole del gioco, anche se sono ingiuste e sbilanciate, e giochi.
E’ come vivere nel lusso anche se sai bene che c’é chi muore di fame: lo trovi terribile, eppure quando sei al parco con gli amici non ci pensi – ti lamenti anche.

Allo stesso modo vivendo a Londra in questi cinque anni ho imparato ad accettare regole che, seppur moralmente inique, i londinesi sviluppano naturalmente.
Ad esempio, quando conosci una persona per la prima volta – specialmente ad una festa – tieni la conversazione piú generica ed insipida possibile, a volte imbarazzantemente preconfezionata: perché sai che probabilmente sará l’ultima volta che vi vedrete. Le relazioni sociali cominciano a considerarsi semmai dal secondo incontro.
Comunque col tempo anche nelle amicizie a lungo termine tendi involontariamente a non legarti mai troppo ad una persona, perché nel retro della mente sai che potrai vederla partire in qualsiasi momento. E’ sempre bello vedere le persone alle quali vuoi bene inseguire i propri sogni; ma dopo esserci passato una volta, due volte, tre volte, il fatto di ricominciare da capo ogni volta… stanca. Ti fa sentire solo.
Trovi sempre nuova gioia nel vedere sbocciare amicizie forti basate su sentimenti “a pelle” con persone semi-sconosciute che ti leggono nel pensiero (come dicevo in questo post); ma amicizie che hanno come base l’avere vissuto “avventure di vita” insieme – intese come momenti belli e brutti, lacrime e risate – ci vogliono anni ed anni per costruirle, ed a Londra lo fai con disillusione, un po’ come costruire una castello di carte nel deserto. In cinque anni ho perso il conto di quante volte il mio giro di amicizie si sia rinnovato da zero. Per inerzia mi trovo sempre piú legato agli amici inglesi: sono anche quelli che sono rimasti a Londra piú a lungo.
Poi con gli amici che se ne sono andati si rimane in contatto con Facebook, croce e delizia delle nuove relazioni sociali: ti rimetti in contatto con grandi amici del passato con i quali scopri che oggi non hai piú niente a che fare; hai mille amicizie nel presente che peró se togli la data del tuo compleanno non sapranno né quando farti gli auguri, né quanti anni hai; ricevi infiniti inviti a feste di ogni tipo, ma se non ti presenti manco si accorgeranno che non ci sei andato. Infine Facebook ti permette di sapere che i tuoi amici sono vivi e vegeti senza bisogno di contattarli, mentre prima l’assenza di informazioni ti spronava a mandare una mail o fare una telefonata.
Poi a Londra sono tutti busy: per vedere qualcuno devi prendere appuntamento, possibilmente via mail, e di solito ci si incontra la settimana seguente. Gli eventi sociali si devono pianificare con settimane in anticipo, e nessuno si offende se qualcuno accetta immediatamente in toni entusiastici per poi cancellare all’ultimo momento con un sms: ‘Sorry I’m still in hangover I can’t move from the couch‘.

In tutto questo boudoir immaginatevi come si possano svolgere le relazioni sentimentali: dove ci sono in gioco i grossi sentimenti si rischia di piú.
Anche se credi veramente in una storia tieni sempre uno spiraglio del tuo cuore pronto a piangere, perché Londra é piena di persone, specialmente giovani, e le possibilitá sono ovunque e tutto puó cambiare da un giorno all’altro, per entrambe le parti. Ho visto con i miei occhi tutto ed il contrario di tutto: persone sposate in relazioni extraconiugali multiple; matrimoni a pagamento per un visto; coppie aperte ed interscambiabili; tradimenti con l’amico, l’amico e l’amico; fughe con amanti; cambi di sesso ed orientamento sessuale (all’interno di una coppia, s’ intende); sugar daddies; cougars; milfs; e chi piú ne ha piú ne metta.

Non sono deluso da Londra. Rappresenta la realtá concentrata di quello che comunque succede anche piú globalmente.
Questa cittá la amo ancora come l’ho amata la prima volta ma, esattamente come quando vai a teatro e rimani estasiato da un’orgia di colori spettacolari e romantiche performance, quando ti inserisci dietro al sipario ti devi rendere conto che la magia viene prodotta; e questo non deve sminuire la grandezza dello spettacolo, ma soltanto farlo diventare umano — se sei sufficientemente adulto per comprenderlo.

La multinazionalitá, il cosmopolitismo, il libero mercato, la paritá dei sessi, la democrazia: sono tutti indici di libertá  di cui grosse metropoli come Londra sono portavoci rappresentanti; pensate ai punks, alle donne col burka, agli Hare Krisha, agli afro, alle drag queens — cioé gli aspetti per i quali Londra affascina ed ammalia — : sono riflessi di una libertá espressiva incondizionata e slegata da una morale comune; quando si lascia la gente libera di fare quello che vuole, bisogna anche accettare che fará veramente quello che vuole, anche se andrá a cozzare con la nostra personale concezione di morale. A volte questo fa male, a volte fa sentire soli, a volte toglie tutte le sicurezze; ma quando lo si riesce ad apprezzare, e si riesce a vivere liberamente la propria idea di libertá, allora viverci dentro é stupendo.
E questo é quello che ho imparato nei miei primi cinque anni a Londra.

Mandanti Morali

Dopo i soliti quattro/cinque giorni di mitragliamento mediatico – completi della solita maniacale attenzione per dettagli palesemente irrilevanti – i giornali mondiali sembrano finalmente essersi dimenticati della strage in Norvegia del 22 Luglio.
Ohibó, mi domando che fine abbiano fatto tutte le teorie complottistiche e controcomplottistiche del ‘Progress Party’, degli approfondimenti sulla situazione sociale e giovanile in Norvegia, degli aggiornamenti ora per ora su cosa il signor Breivik sta mangiando o bevendo, delle analisi bibliche, degli editoriali al vetriolo sui mandanti morali (che sono passati dai musulmani alle serie TV, dai politici ai videogiochi.. non sono ancora stati tirati in causa la cometa di Halley e Fred Flintstone).

Sicuramente negli ambienti legati alla vicenda – vuoi per motivi di lavoro o per motivi familiari – qualcosa ancora si muove, e ancora resterá in movimento a lungo; il pubblico invece ha avuto il beneficio di essere stato intrattenuto per qualche giorno, ed ora ha quello di potersene dimenticare.
Inizialmente i giornaletti di serie C (tipo quelli che ti rifilano gratis all’entrata della Tube) affiancavano senza paura in copertina Breivik ad Amy Whinehouse: lui ritratto come un giovane piacente e fisicato ma inculcato da idee esterne un po’ troppo estreme, lei come una promessa del rock tragicamente strappata alla vita dalla droga. Strano, perché a quanto mi risulti in Europa puoi ancora permetterti di sviluppare le tue idee senza che te le inculchino, ed un assassino fisicato non ha piú rilevanza di un assassino obeso; inoltre l’ultima volta che ho controllato la droga é qualcosa che devi prendere tu, non é che ti si infila sulla corsia di marcia in autostrada, che ci puoi avere un tragico incidente. Comunque poco importa, la gente vuole essere intrattenuta e la povera Amy ha presto preso il sopravvento su Breivik sui giornali, con buona pace dei familiari delle vittime (quindi di Amy) – dato che, tra le altre cose, Breivik non ha singoli da piazzare in classifica, non ha inediti da rilasciare dall’aldilá, ed il film sulla sua vita sarebbe troppo costoso da realizzare per via delle esplosioni e delle sparatorie. Delle vittime dell’attentato non si é neanche parlato, ma forse é meglio.

In tutto questo faló, intrattenimento sembra essere la parola giusta, perché anche molti giornali definiti “seri” sembrano essersi dimenticati che il loro lavoro é quello di informare e far riflettere, ed indugiavano su aspetti irrilevanti che non hanno niente a che fare con l’informazione, ma che intrattengono: alcuni tergiversavano sui dettagli della vita di isolamento di Breivik negli anni di pianificazione dell’attentato (anni dettagliati dal suo delirante diario di 1500 pagine, che per soddisfare il vostro spirito autolesionistico potete trovare in versione completa qui), sottolineando i sacrifici per la raccolta di fondi, lo studio dietro alla costruzione di una bomba amatoriale, la rinuncia al contatto sociale con altre persone (alcuni molto poco professionalmente hanno detto “la rinuncia ad ogni attivitá sessuale”) – tutti aspetti che invece di fare informazione hanno sembrato voler esaltare la qualitá di questa persona, quasi a farne un eroe.
In Italia poi – paese tristemente celebre per la mancanza di obiettivitá nell’informare i cittadini – oltre al fattore intrattenimento, alcuni giornali sembravano anche paventare un proprio “programma”, ed hanno utilizzato eventi mischiati ad “informazione” per portare avanti quello che sembra essere una vera e propria propaganda. Un certo quotidiano chiamato ‘Il Giornale’, ancora prima di scoprire chi fosse l’attentatore, aveva giá deciso che tutto era opera di terroristi musulmani e sparava a zero verso questi pericolosi invasori, salvo poi venire contraddetto dalla polizia norvegese che faceva loro presente che l’attentatore era uno dei “buoni”. Non stupisce poi che con simili servizi al pubblico ci sia stata qualche testa calda che si é messa a strillare che Breivik aveva delle ottime idee. Ottime idee! Colpito da tanto entusiasmo ho fatto il sacrificio di spendere diverse ore della mia preziosa estate leggendomi il manifesto dell’attentatore in questione e non sono ancora riuscito a trovare delle ottime idee; certo, dal trattato se ne evince una notevole – quanto prolissa – cultura storica, ed una conoscenza non superficiale del mondo arabo, ma quanto ad ottime idee andiamo scarsini. Al massimo sono riuscito a provare dell’ottima invidia verso le vagonate di soldi che il ragazzo dice di avere fatto investendo in borsa, delle sue eccitanti vacanze in America, della sua riuscitissima dieta ed allenamento per costruirsi un fisico da paura (non fa niente se poi non consumava), della velocitá di apprendimento per mettersi a studiare chimica e costruirsi una bomba amatoriale in quattro mesi, della ricetta stessa per costruire la bomba (che ho salvato tra i preferiti, sai mai che resto bloccato sotto qualche mina in Chile), ma sopratutto per prendersi un anno off per giocare a World of Warcraft (spero almeno che ti abbiano cancellato l’account per l’eternitá). Insomma un miscuglio di fatti, teorie, deliri ed esperienze di vita, nonché di fatti storici ed informazioni inutili e deliranti. Quindi, caro Borghezio, io mi tengo le mie idee, e credo siano migliori di quelle di Breivik in quanto non prevedono lo sterminio di sconosciuti su base di divergenza di interessi; ti sarebbe stato forse piú producente leggere i diari di Moana Pozzi – lei sí aveva alcune ottime idee.

Concludo con un altro aspetto trattato dai media a scopo di intrattenimento misto a provocazione: la famigerata “prigione a cinque stelle di Breivik”. Praticamente ogni giornale ha schiaffato almeno un articolo su questa che viene definita “la piú confortevole prigione al mondo” dove ogni detenuto ha la propria stanza con letto, bagno privato, e televisione LCD – senza contare il campo da squash e tutto il resto. Allego un link al principale quotidiano italiano (vi chiedo scusa se nel cliccare play vi sporcate le mani) che fa da buon esempio verso tali servizi.
Questi giornali hanno fatto clamore attorno al fatto che i detenuti vivono una vita “lussuriosa” per 21 anni (questa la pena massima in Norvegia, anche se, sempre per aumentare il clamore, evitano di dire che la pena puó essere estesa indefinitamente) prima di venire rilasciati nuovamente nella societá, dando per inteso che questo é il genere di trattamento che attende un mostro come Breivik. Insomma qualche anno di centro benessere e poi via a raccogliere viole. La reazione é ovviamente di indignazione, e questo é quello che i giornali sembrano voler suscitare.

Se volete compiere un omicidio fatelo in Norvegia, dove come punizione trascorrerete 21 anni in hotel” titolano i giornali in America. Poche, pochissime pubblicazioni vanno piú a fondo, e vi consiglio questo articolo dell’Economist per una visuale un po’ piú seria e riflessiva sulla questione.

Si manca di menzionare che la Norvegia resta uno di paesi con il piú basso tasso di omicidi, e questo giá ha qualcosa da dire. Ma la veritá é che, anche volendo, gli altri Stati non si potrebbero permettere prigioni di questo tipo perché hanno semplicemente troppe persone da imprigionare. Nel glorioso occidente (Norvegia esclusa) una prigione sembra dover essere un posto ripugnante e sgradevole dove patire pene psicologiche e fisiche, come per ripagare chi é rimasto in vita – ed é quindi stato indirettamente vittima degli eventi – per una sorta di soddisfazione morale. Una sorta di inferno dantesco in terra che dovrebbe dare da esempio a chi non ha ancora commesso un crimine, ma che dati alla mano non sembra funzionare, né prima dell’incarcerazione, né dopo.
Domandiamoci una cosa: dal punto di vista di un’amministrazione governativa quale guadagno c’é nel lanciare assassini e pedofili in una sorta di “fossa dei leoni” dove ci si uccide reciprocamente (ove non vieni direttamente ucciso dalle persone che dovrebbero garantire la tua incolumitá) e si languisce in una sorta di inconclusiva miseria e dolore a spese dei contribuenti? Certo, per soddisfare i cittadini che hanno piacere a pagarne per sapere che questo é quel che succede.
Alla lunga sono i media stessi che pasteggiano su queste concezioni di massa: prima schiaffano il mostro in prima pagina, poi si incolpano l’uno con l’altro come mandanti morali, infine fingono di creare riflessioni e di insinuare quel che i cittadini dovrebbero volere, ma mai consegnano le informazioni per poter pensare a cosa effettivamente si vuole.
E’ normale che dietro ad ogni morte inspiegabile, ove non si riesce ad accettare una motivazione, si cerchi sempre un mandante morale; anche Amy Winehouse era una ottima cantante ed é stata glorificata dai media (sopratutto) perché intratteneva il pubblico con i suoi comportamenti (auto)distruttivi. Peró in questo caso é stata uccisa dalla droga, i media proprio non sono riusciti a trovare un mandante morale: forse per paura che fosse lo stesso?

Oby se ne frega (di tutto sí)

Lo so che manco dal blog da parecchio tempo. Me ne sto un po’ fregando.

Sto vivendo l’estate al massimo – come un diciottenne in dissociazione da responsabilitá familiare. Sono sempre fuori casa; dove finisce la mia giornata lavorativa comincia quella sociale: cercatemi alle sei del pomeriggio e mi troverete al pub con gli amici, al cinema, ad un concerto all’aperto; cercatemi nel weekend e saró a feste di compleanno, barbecues, house parties.
Qualche settimana fa sono stato al concerto dei Killers in Hyde Park, di cui questo video che ho girato mostra un decente estratto.

Tra le altre parentesi sociali degne di nota c’é stata una festa di compleanno della durata di 24 ore (no comment); una festa di arrivederci per un amico che ha deciso di trasferirsi negli Emirati Arabi per due anni (“Ma parli arabo?” – “No, dici che lo dovrei imparare?”); una festa per una separazione (le feste per il fidanzamento ormai sono out); l’immancabile summer party aziendale a bordo di una nave in tour lungo il Tamigi (dove il numero della gente scesa é stato inferiore a quello della gente salita a bordo, stiamo ancora cercando di capire chi manchi e dove sia finito); un matrimonio di un direttore di scuola (celebrato nella scuola che dirige, nel Surrey); last but not least un meraviglioso weekend in Brittany dove una cara ex-collega di lavoro ci ha ospitato e scarrozzato in lungo e in largo all’esplorazione di una delle regioni piú belle della Francia, inclusivo Île-de-Bréhat, Perros-Guirec, Ploumanac, ed il meraviglioso Mont Saint-Michel.
La storia della mia amica é particolarmente interessante perché dopo sette anni trascorsi a Londra, con tanto di relazione sentimentale seria e mutuo sull’appartamento, colta da crisi di nazionalitá ha – dopo mesi di turbamento ai quali ho assistito in prima persona – preso la sofferta decisione di rientrare in terra natía e lasciarsi tutto alle spalle. Il destino le ha tuttavia sorriso perché al rientro é incappata in un ex-compagno di classe che dopo breve (ri-)frequentazione le ha proposto di sposarla e del quale é innamoratissima (devo tornare l’anno prossimo per il matrimonio!). La lezione che mi ha insegnato é che tutto puó cambiare rapidamente se abbiamo la sfrontatezza di prendere decisioni tristi e rischiose ma nelle quali crediamo.

Con tutto quello elencato qua sopra sará naturale immaginare che non ho piú molto tempo per leggere i giornali; ma questo non e vero! Leggo le notizie di attualitá come sempre con grande interesse e mi piace parlarne con chi ama farlo. Mentre mi trovavo in Francia ho tenuto meravigliosi scambi di opinioni con i miei amici a proposito della scandalo di Dominique Strauss-Kahn, della differenza dei media francesi ed italiani, dell’ immagine estera del francese stizzoso e xenofobico (la legge per vietare il burqa non é che abbia proprio aiutato).

Nel Regno Unito c’é stato un nuovo scandalo, quello delle intercettazioni telefoniche che ha “”costretto”” (con quattro virgolette) Rupert Murdoch a chiudere il News of The World, del quale tra parentesi il sottoscritto non sentirá la mancanza. In sostanza quel che é successo é che si é venuto a sapere (tramite brillanti indagini giornalistiche del Guardian – questo sí un giornale serio) che il News of The World pagava hackers per infiltrarsi nei telefoni, e nelle segreterie telefoniche, di personaggi di interesse gossipparo/scandalistico quali Siena Miller, il principe William, Hugh Grant, e qualche politico di spicco qua e lá tra cui Gordon Brown, per pubblicare indiscrezioni esclusive e succulenti pettegolezzi.
I due piú importanti motivi per scandalizzarsi sono comunque altri, in primis che questo giornalaccio – buono per foderare la gabbia del canarino – si é anche infiltrato nella segreteria telefonica di una ragazza uccisa da un killer conosciuto su Facebook (la classica storiella tragica dell’estate) prevaricando le indagini della polizia, ed in secundis che corrompeva poliziotti di Scotland Yard per fare in modo che questi non indagassero su come le informazioni erano state ottenute.

Non stiamo chiaramente parlando di scandali a livello di quelli italiani, dove ministri in carica si ritrovano con case pagate a loro insaputa, o presidenti del consiglio si ritrovano con amichetti che corrompono giudici per rubare aziende altrui senza farglielo sapere, ma qualcosa del genere chiaramente scuote le pubbliche opinioni. A mio parere la gente dovrebbe interessarsi piú di amministrazione pubblica e meno di gossip, e per colpa di questo scivolone ora c’é il rischio che si mettano in vigore delle nuove regole che limitino l’altrimenti eccellente giornalismo britannico.
Di tutto questo scandalo si é salvato per il rotto della cuffia David Cameron, che aveva assunto come rappresentante delle relazioni pubbliche e consigliere personale nientepopó di meno che la persona all’epoca in carica al NoTW mentre l'”hackeraggio” era in piena attivitá; si é salvato dicendo che non poteva sapere in che cosa fosse coinvolto all’epoca e si é pentito per averlo assunto.
Ultimamente un po’ tutti si difendono sapendo che non potevano sapere quel che stava succedendo.

Sempre sulla questione c’é stata recentemente una brillante seduta pubblica dove Rupert Murdoch é stato interrogato (piú corretto dire “messo ai ferri, cotto e trifolato”) con domande cattivissime; immaginatevi questo ottantenne decrepito, preso di forza dalla polizia mentre sistemava l’orto, trovato a difencersi dicendo (indovinate) che non sapeva nulla di quel che succedeva nel News of the World ed era all’oscuro che gente pagasse per infiltrarsi nei telefoni e corrompere poliziotti. E’ stato talmente credibile che una signora si é alzata per sbafargli una torta alla crema in faccia, ma é stata fermata in extremis. Poi la direttrice del News international si é dimessa. Un altro tizio ci é andato piú drastico e si é suicidato.
Insomma, giornalisticamente parlando stiamo passando un’estate calda.

In tutto questo, spero stiate passando tutti una meravigliosa estate. Ci sentiremo presto, e mentre mi scuso ancora per la mia assenza (dato che non potevo sapere che stavate aspettando un nuovo post), prometto di scrivere un post piú serio e sensato al piú presto, possibilmente in un arco di tempo inferiore a quello trascorso tra il post precendente e questo 😉

Oby.

Con la Sola Ingiunzione delle Mani

Cercheró di riassumere brevemente le vicende dietro l’ultimo scandalo britannico: il “superinjunction” (ossia: come anche in Inghilterra non tutto funziona come dovrebbe).

Un “injunction” é un divieto posto ufficialmente (ed a chiunque) dal riportare alcune informazioni pubblicamente: un’arma che in Italia sarebbe il ballo delle debuttanti dell’intera casta politica, in Inghilterra invece era nata con il nobile scopo di proteggere le vite di persone coinvolte in alcuni casi giudiziari piuttosto sensibili (ad esempio persone sotto processo per molestie a bambini e quindi a rischio linciaggio pubblico).

Nel corso degli anni, peró, l’injunction é cambiata. In particolare, é stata lentamente “allargata” – specialmente dopo gli anni 90 a seguito della creazione delle varie leggi per tutelare la privacy dei cittadini – e fatta diventare uno strumento accessibile da parte di qualunque cittadino, anche senza la presenza di alcun processo di mezzo. Ora chiedere un injunction significa chiedere che notizie non illegali ma sopratutto non di rilevanza pubblica siano vietate dalla pubblicazione su giornali, o anche soltanto proibite alla menzione pubblica.  Posso chiedere un injunction se qualcuno mi sta ricattando per qualcosa di non illegale ma imbarazzante. Ad esempio se sono un direttore della banca generale, me la faccio con un trans, ed una sera vengo fotografato da quello che credo essere un giornalista, posso chiedere alla corte di rilasciare un’ingiunzione che mi protegga e vieti a chiunque dal rivelare che sto frequentando questa persona, in quanto temo che la notizia venga utilizzata per intaccare la mia immagine. Normalmente l’injunction copre soltanto una delle persone coinvolte, o l’atto; in alcuni casi peró il giudice decide che tutte le persone coinvolte, l’atto stesso e persino l’esistenza stessa dell’injunction, non debbano essere menzionati.. in questi casi si parla di super-injunction e chiaramente nessuno viene a sapere niente.

Facciamo fast-forward e finiamo nel 2011, dove un certo calciatore del Manchester United di cui non posso fare il nome (giusto per cambiare argomento, lo sapete che Ryan Giggs é il piú decorato giocatore di calcio d’Inghilterra? Ha vinto ben 12 medaglie della Premier League!) ed una certa concorrente del Grande Fratello di cui non vi posso fare il nome (Imogen Thomas, ops l’ho detto) avrebbero avuto una relazione extraconiugale durata sette mesi; a quanto pare la ex-concorrente del Grande Fratello avrebbe telefonato al famoso calciatore (di cui non vi ho fatto il nome) per comunicargli i suoi timori che i giornali fossero venuti a conoscenza della loro relazione, e che a breve sarebbero finiti sulle prime pagine dei tabloid scandalistici. La reazione del calciatore é stata quella di chiedere ed ottenere un’injunction per vietare la menzione del suo nome (dunque soltanto quello del calciatore).

Ora, voi immaginatevi che cosa potrebbe succedere in Italia se i giornali sbattessero in prima pagina per una settimana che una ex-concorrente del Grande Fratello se l’é fatta per sette mesi con un famoso calciatore sposato che ha vietato la pubblicazione del suo nome. Come se i lettori chiudessero la pagina dicendo: “Ah, beh, pazienza, tanto non mi interessa sapere chi sia il calciatore..”.
Ovviamente tutti i gossippari d’Inghilterra ne hanno sparlato a tutto spiano, virtualmente accoppiando la Imogen de noantri ad ogni essere umano vivo o morto con un pallone ai piedi (io mi immagino la gioia di lei). La vicenda ha peró toccato anche il giornalismo “serio” quando, dopo qualche giorno di hot-fuss, un utente Twitter di cui non vi posso fare il nome (perché proprio non si sa chi sia; ma vi posso dare il link al twit) ha twittato che “Ryan Giggs ha avuto una relazione della durata di sette mesi con Imogen Thomas“. Una cosa che sarebbe forse anche finita nel mare dei twit dimenticati, se non fosse che un particolarmente sveglio Giggs ha fatto immediatamente causa a Twitter per la sua rimozione. Ovviamente i giornali, non potendo riportare il suo nome, non hanno dovuto fare altro che dire che “il calciatore coperto da injunction per una relazione extraconiugale ha chiesto la rimozione di un twit che lo nominava”. Nel giro di 24 ore il mondo intero era conoscenza della rava e della fava, persino durante le partite del Manchester United i tifosi della squadra avversaria si presentavano con striscioni delle dimensioni di un edificio con frasi sulla cornutaggine della moglie di Giggs; ma i giornali non ne potevano parlare, in quanto illegale. Si é venuta a creare una situazione evidentemente nuova, decisamente goffa, per i giornali inglesi. La beffa suprema é avvenuta quando, sempre a seguito del twit, il Sunday Herald – giornale scozzese (quindi non affetto dalle injunction inglesi) – ha pubblicato in prima pagina la foto di Giggs con una piccola striscia sugli occhi che recitava “censura”.
I giornali d’informazione come il Guardian, L’Independent, persino la BBC si sono ritrovati a pubblicare titoli astrusi come “Lo scozzese Sunday Herald pubblica il nome del calciatore accusato di essere collegato all’ingiunzione sulla privacy da un utente del social media network Twitter“. (Titolo piú adatto sarebbe stato “Internet batte giornalismo 1-0”).

Insomma, é evidente che nel 2011, nell’era dei social media, dei cellulari perennemente collegati alla rete, dell’inevitabile globalizzazione che ne consegue, la privacy sia diventata piú un’idea che un diritto e c’é sempre una discussione attiva tra chi sostiene che “chi non ha segreti non ha niente da nascondere” e chi “voglio che i miei fatti privati restino privati”.
Per finire la vicenda dell’injunction, e porre fine alla miseria dei giornali inglesi, é venuto in salvo un onorevole dei Liberal Democratici, John Hemmings, che durante una discussione parlamentare ha fatto il nome di Giggs, di fatto permettendo ai giornali inglesi di scrivere “il calciatore sposato menzionato su Twitter per avere avuto una relazione extraconiugale con Imogen Thomas é stato identificato dal parlamentare John Hemmings come Ryan Giggs” – eh, che fatica! Questo é stato possibile perché i parlamentari britannici non sono penalmente perseguibili per dichiarare il contenuto di un’injunction, ed essendo le discussioni parlamentari pubbliche, i giornali hanno soltanto dovuto riportare la frase in questione (tra le altre cose non c’é neanche la certezza che Hemmings abbia nominato Giggs di proposito: alcuni sostengono che subito dopo il nome abbia aggiunto “doh!”).

Insomma, tutto questo per dire che:

1 – Anche nel Regno Unito (in questo caso in Inghilterra) ci sono dei problemi tra informazione, privacy, e giornalismo.
2 – Il sistema dell’injunction dovrá decisamente venire ridiscusso e riformato
3 – Piú si tenta di nascondere una notizia e piú questa viene chiacchierata
4 – Temo che anche la moglie di Giggs abbia scoperto l’accaduto