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Ok, ricapitoliamo: il vicepresidente del Senato italiano, tale Roberto Calderoli, ha detto riferendosi ad un ministro di colore: “Quando la vedo non posso non pensare ad un orango”. Parole di estrazione sociale raffinatissima tipiche del personaggio, immaginiamo pronunciate mentre stava preparando il vestito per il ballo delle debuttanti dopo avere preso un The con la duchessa di Cambridge. Ma prima di spendere parole (inutili) sul personaggio lasciatemi rispondere a quella domanda: “Ma a te cosa te ne frega, che non vivi neanche in Italia“. La risposta é: “me ne frega, e molto“, ecco perché:

Me ne frega molto perché i giornali internazionali ne parlano, chi legge i giornali internazionali ne ride, e chi vive all’estero ed ha a che fare con italiani se ne preoccupa e se ne prepara. Per colpa di queste uscite, di personaggi singoli, gli italiani all’estero incontrano battute, scherzi, pregiudizi, hanno problemi ad ottenere un lavoro, ad interagire socialmente ed a sentirsi a proprio agio in una realtá internazionale.
Chi vive in Italia probabilmente fatica a capire, dunque ecco un esempio personale: quando una collega vestita in maniera attraente passa per il nostro ufficio, i colleghi possono fare un pacato complimento tra loro. Io no. Perché i complimenti dei miei colleghi sono sinceri e senza doppio fine. Io invece sono italiano e sto giá pensando di invitarla al Bunga Bunga party con zio Silvio, sto giá pensando ai festini con le minorenni nella villa in Sardegna, sto giá pensando ai vestitini da infermierina e da suora. Lo scherzo é divertente fino a che non é supportato dalla massa e diventa pregiudizio. Purtroppo Silvio é stato Primo Ministro per anni, tutti sapevano cosa faceva, e lui é sempre rimasto al suo posto. In un altro paese se ne sarebbe andato molto prima, in Italia no, perché? L’unica risposta che all’estero si danno é che il suo comportamento é stato ritenuto accettabile e condiviso, dunque parte della cultura.
La cosa che mi spaventa é proprio questa: il machismo ed il razzismo stanno veramente diventando parte del curriculum italiano all’estero, e gli unici a non rendersene conto solo gli italiani.
Le mele bacate ci sono in tutto il mondo, e la cosa che ci deve preoccupare non é che queste persone non si vogliano dimettere spontaneamente, é che nessuno li faccia dimettere. Il fatto che un rappresentante istituzionale possa commettere un atto socialmente inaccettabile e rimanere al proprio posto significa che l’atto non é socialmente inaccettabile.
Voi immaginatevi se domani Obama si presentasse ad un convegno e dicesse: “Sapete, cari americani, stavo pensando, Condoleezza Rice non vi ricorda un po’ un Orango?”. O pensate se lo facesse David Cameron! Tutti penserebbero ad una psicosi improvvisa con danni cerebrali avvenuta durante la notte. Pensate se lo dicessero Berlusconi o Calderoli: decisamente non penserebbero ad una crisi. Qualcuno li farebbe dimettere? Hanno giá avuto uscite abbastanza simili e non é successo. Forse chiamerebbero dimissioni dall’estero, non di certo dall’Italia. E allora l’idea che il razzismo e mancanza di serietá siano valori condivisi nella cultura italiana comincia a farsi solida agli occhi degli esteri.
Io non so se sia cosí anche per gli altri italiani all’estero, ma io sono stanco. Chi veste ruoli istituzionali e rappresenta l’Italia all’estero deve essere ritenuto personalmente responsabile per la degradazione dell’immagine di un intero paese a causa della pura soddisfazione di un piacere personale. Siamo ormai ritratti nel mondo come un paese di depravati, ladri, mafiosi, razzisti e bigotti. E la cosa che mi spaventa davvero é proprio quando l’idea non preoccupa gli italiani. Quando lo faccio presente in Italia mi sento nel migliore dei casi domandare: “Ma tanto cosa te ne frega, che non vivi neanche in Italia” e nel peggiore dei casi: “Eh, beh, siamo cosí, é la nostra cultura, chi parla male é geloso“. Addirittura vedono le uscite di questi personaggi come un divertimento, un intrattenimento.
Eppure per molti fortunatamente non é cosí! Ci sono moltissimi italiani che non sono razzisti, non sono puttanieri, e hanno sicuramente un quoziente intellettivo piú alto di quello di Calderoli. C’é gente che si altera, si rende conto del danno, e non ride. C’é chi vive all’estero e ha a che fare con pregiudizi descritti sopra. E poi ci sono le persone che sono rimaste in Italia e quotidianamente vivono nello sterco e inghiottono per non affogare: inghiottono quando il collega viene promosso grazie alla raccomandazione, quando il vicino ruba soldi allo Stato col sorriso dandoti pure dello stupido “perché non lo fai anche tu”, quando una generazione di ignoranti vota gente simile a Calderoli, magari anche senza cattiveria, proprio a causa di innocente ignoranza. Peró quell’ignoranza diventa cultura e divora un intero paese e la sua immagine all’estero.
Quando ci evolveremo in un paese civile?
Perché? Qualcuno mi risponda: perché? Ma che cosa ho fatto di male io per meritarmi tutto questo? C’é qualche delitto imperdonabile che ho commesso in qualche vita precedente? Sono vittima di una sgradevole candid camera? Oppure sono io che tra i miei indistinti tratti caratteriali ho questa invidiabilissima capacitá di far finire in casa mia tutte quelle indesiderabili parti della societá umana che anche Gesú Cristo ti direbbe ‘hai fatto bene‘ a mandarle a fanculo? Poi sento di gente che si lamenta perché nella propria vita a volte fa la conoscenza di gente con problemi mentali: e io allora che ci finisco col viverci?
Ma cominciamo dall’inizio.
E’ un giorno di inizio Agosto quando il mio flatmate mi si avvicina con lo sguardo del cucciolo bastonato per chiedermi: ‘Ti fa niente se resta a dormire da noi una mia amica sabato sera? Ha un colloquio nel pomeriggio e le viene troppo lungo tornare a casa a Colchester’ (e io giá mi dico: Ok, Colchester non é che sia nella legione straniera, ma va beh pazienza vieni pure te che tanto casa nostra ormai é anche sulla Lonely Planet).
‘Va bene ma di chi si tratta di preciso?’ domando.
‘E’ una ragazza della Repubblica Ceca che ha studiato inglese con me a Colchester nel 2002 per una settimana, e che non ho piú sentito da allora, ma che mi scritto oggi dicendo che sta venendo a Londra a cercare lavoro e se puó dormire da noi” (mmm, che bella premessa, deve essere proprio un’amica del cuore!).
Sabato pomeriggio suona il campanello: sto facendo le pulizie quindi apro la porta indossando gli indumenti della casalinga di Voghera. Mi trovo davanti una bionda alta un metro e ottanta con indosso stivaletti in plastica lucida nera su tacco a spillo, calze a rete bianche a maglia larga due centimetri, occhiali da sole Chanel veri come una banconota da tre euro, guanto in pelle borchiato tipo Samantha Fox d’annata, un top lavato con la centrifuga sbagliata che contiene qualcosa che devono essere sicuramente due noci di cocco, che mi guarda e mi dice “Buongiorno” con la voce di Amanda Lear dopo una tracheite cronica ostruttiva.
‘Mi scusi signorina: guardi che questa é una casa rispettabile’ rantolo brandendo un mocho Vileda.
‘Buongiorno, sei Oby? Sono l’amica del tuo coinquilino. Sono ospite da voi stasera’
Ohibó — mi domando — ma é questa l’amica? Ma non é che ‘amica’ fa di cognome, e poi di nome fa ‘mano’?
Comunque la faccio entrare e cerco di farla sentire a casa propria (ad esempio tolgo dai dintorni oggetti appuntiti per evitare che possa forare) e la faccio accomodare nella stanza degli ospiti dove passa la notte russando come un rinoceronte morente con la pneumonia. La mattina dopo come da accordi sparisce (e voi direte ‘Embé Oby dov’é la disavventura?‘. Aspettate…).
Un paio di settimane dopo il mio flatmate torna con il solito sguardo e mi dice: ‘Lo sai, la mia amica ha trovato lavoro! L’hanno assunta! Oléé!’.
Scaccio dai pensieri immagini varie su quale meraviglioso lavoro questa personcina possa fare, e scaccio anche quelli sul colloquio sostenuto per farsi assumere, quindi rispondo ‘Bene, sono contento per lei, grazie e arrivederci..’.
‘Eh beh peró c’é un problema’ (e te pareva), ‘comincia a lavorare lunedí ed oggi é venerdi e non ha un posto dove stare!’
‘NON puó rimanere da noi’
‘Ma dai, che senza cuore che sei, poverina, non vorrai lasciarla cosí in mezzo a una strada’ (veramente credo che si troverebbe perfettamente a suo agio…)
‘Guarda, non ho voglia di discutere, abbiamo una stanza vuota e ok, puó stare, ma entro un mese deve andarsene. Oggi é il primo Settembre, quindi il primo Ottobre é la data oltre la quale deve avere liberato la stanza’
“Ok!! Va benissimo!!! Il primo Ottobre é perfetto!!!! Va bene grazie!!!1!1!+1!!”.
Nelle settimane seguenti la bionda felina si radica nella stanza degli ospiti come un immigrato clandestino al centro accoglienza: la sento di giorno parlare al telefono in continuazione con mezzo mondo di ogni argomento possibile ed immaginabile — veramente, qualsiasi cosa: dal suo amore per i tacchi a spillo al suo terrore per i topi in metro — mentre di sera é mezzo mondo che sente lei russare come una camionista ubriaca dopo la festa della birra (e la stanza degli ospiti é pure accanto alla mia quindi immaginatevi la gioia). La casa é avvolta da una perenne nebbia generata dai sui profumi irrespirabili e per un attimo credo di essere tornato a Nuova Delhi. Reggiseni e mutande hanno sostituito lucernari e plafoniere e addobbano il calorifero tipo albero di Natale alla fiera del sesso di Amsterdam. Il bagno é diventato una laguna paradisiaca ove rane e raganelle crescono felici e in salute, dove per entrare devi mandare una richiesta di appuntamento una settimana prima e non é detto che venga accolta.
Sono settimane di tensione: io prego che l’indesiderata bambola gonfiabile mantenga l’impegno levandosi dalle scatole come promesso; il mio coinquilino — che é un porco maniaco sessuale che fa lo sguardo languido anche all’aspirapolvere in giorni di inutilizzo — ci prova spudoratamente utilizzando tattiche diverse e disparate dal “Oh ma che sbadato che sono mi sono versato il caffé sulla camicia” al “Stasera ho per sbaglio cucinato troppo caviale e ostriche ti va di cenare con me?” al punto che comincio a temere da un giorno all’altro possa assalirle direttamente la gamba come un chihuahua in preda ai calori estivi.
Il primo di Ottobre rientro a casa con le mani giunte tipo suora del Medjugorje e subito guardo nella stanza degli ospiti con lo sguardo di speranza tipo sacro sepolcro. La stanza é vuota e la sua roba sparita. Preso dalla situazione urlo “Miracolo!“, “Hallelujah!, “Osanna!“. Sono talmente felice che prenoto un viaggio low-cost e vado in Spagna a festeggiare. Al mio ritorno scopro che il mio viaggo era inutile perché tanto lei non se ne era mica andata: No no, si é semplicemente trasferita nella camera del mio flatmate e dal primo Ottobre per magia sono diventati una coppia. Caspita, e pensare che fino al 31 Settembre ha dormito nella stanza degli ospiti, deve essere stato proprio un bel colpo di fulmine! penso tra mé e mé. Infatti sono talmente innamorati che lei passa le giornate in camera di lui al telefono, mentre lui cucina, lava i piatti, le prende i biglietti per il teatro, le organizza la cena fuori nel weekend, le fa le lavatrici e pulisce la stanza quando lei é fuori con le amiche. Parliamo di vero e proprio amore romantico, roba che neanche Dante con Beatrice.
Ad ogni modo dato che il contratto dice che la stanza é ad occupazione singola, ed io comunque sono un rovina-coppie, vado a chiedere al mio flatmate di rispettare i patti, e via le sviolinate: ‘Ma no, ma dai, ma poverina, ha appena iniziato a lavorare, non puoi pretendere che trovi casa subito, é molto impegnata’ (giá, sopratuttto con due lavori…).
Il flatmate — che, diciamo con toni di rispetto, non assomiglia particolarmente né a Chris Hemsworth, né a Ryan Reynolds, né a Jake Gyllenhall — non vuole ovviamente perdere questa “fidanzata”, e cosí le propone romanticamente di trovare un appartamento insieme da qualche parte dove vivere per sempre felici e contenti. Purtroppo lei rifiuta, per un motivo non pervenuto che non é assolutamente relazionato al fatto che nella situazione attuale lei non paga né affitto, né bollette, né spese, ne cibo, ne travelcard, e che se dovessero andare a vivere insieme il mio flatmate non riuscirebbe a pagare tutto di tasca sua per entrambi — devo essere proprio io che sono malizioso e non riesco a vedere l’amore, non riesco a vedere il romanticismo, e invece vedo solo una z……).
Ovviamente la landlady si interessa alla faccenda come una mucca al pascolo col treno di passaggio sul ponte vicino, quindi finiamo in una situazione di stallo e continuiamo su questa linea, e un mese diventa due, e due mesi diventano tre. Diventa una gara di resistenza.
Un giorno, tra le solite conversazioni telefoniche, sento la bionda abusivista fare accenno al fatto che é in arrivo la sua famiglia dalla Repubblica Ceca (!) che si fermerá da noi (!!) per un tempo “da definirsi” (!!!). Decido che é il momento di fare qualcosa seriamente.
Cosí, nel fiore della disperazione, non mi resta che chiedere aiuto ad un amico. Il mio amico si chiama Gerardo.
Gerardo all’inizio non voleva aiutarmi, un po’ perché é timido, un po’ perché ha famiglia — sai, insomma, la vita di famiglia impegna — e un po’ perché, poverino, magari non aveva neanche tanta voglia di aiutarmi. Ma io l’ho convinto con tante belle parole, e gli ho promesso tanti bei regali, perché io lo so a lui cosa piace. Gli ho fatto anche un bel risk assessment, cosí si é tranquillizzato un po’, e ho fatto di tutto per metterlo a suo agio, minimizzando i rischi per la sua salute. Gli ho detto: ‘Gerardo, devi proprio conoscere questa fantastica coinquilina con la quale vivo, é ultra-simpaticissima. Sono sicuro che anche lei ti adorerá dal primo istante’. Poi ho anche pensato: forse dovrei farle conoscere Gerardo in soggiorno, o in cucina, o in bagno. Sarebbe piú informale e le amicizie si sviluppano meglio. Ma poi mi sono detto: ma perché torglierci il piacere? la camera da letto é un posto cosí confortevole e rilassante, una persona la conosci bene nell’intimitá della camera da letto, é dove si fanno i discorsi piú intensi e personali. L’armadio poi é l’angolo piú bello; con tutte quelle belle scarpe…
Invece la mia coinquilina e Gerardo non sono andati molto d’accordo. Peccato. Chi se lo sarebbe aspettato. Hanno litigato subito. L’ho sentita esprimere il suo disappunto fin dal piano di sotto. Anzi oserei dire che quando ha visto Gerardo ha deciso di colpo che la casa non le piaceva piú. Dopo quattro giorni se ne é andata. Dopo due settimane il flatmate l’ha seguita a ruota. La forza dell’amore.
EDIT: Siccome a seguito del post ho ricevuto molte richieste di aggiornamento sulla salute di Gerardo, confermo che sta benissimo. Anzi dopo l’evento é andato a farsi una vacanza al mare con la moglie. Mi ha anche mandato una romantica cartolina. Loro sí che sono una coppia felice.
Perché? Qualcuno mi risponda: perché? Ma che cosa ho fatto io per meritarmi tutto questo? C’é qualche delitto imperdonabile che ho commesso in qualche vita precedente? Sono vittima di una candid camera? Oppure sono io che tra i miei indistinti tratti caratteriali ho questa invidiabilissima capacitá di far finire in casa mia tutte quelle indesiderabili parti della societá umana che anche Gesú Cristo ti direbbe ‘hai fatto bene‘ a mandarli a fanculo. Poi c’é gente che si lamenta perché nella propria vita conosce gente con problemi mentali: e io allora che ci finisco per vivere?
E’ un giorno di fine Agosto quando il mio flatmate mi dice: “Ti fa niente se resta a dormire qua da noi una mia amica ceca sabato sera? Ha un colloquio nel pomeriggio e le viene troppo lungo tornare a casa a Colchester” (e io giá mi dico: ok, Colchester non é che sia nella legione straniera, ma va beh pazienza vieni pure te che tanto casa nostra ormai é anche sulla Lonely Planet).
“Mi dici chi é di preciso?” domando
“E’ una ragazza che ha studiato inglese con me a Colchester nel 2002 per una settimana e che non ho piú sentito da allora ma che ora mi scritto dicendo che sta venendo a Londra a cercare lavoro” (mmm, quale fantastica premessa! Deve essere proprio un’amica del cuore).
Sabato pomeriggio suona il campanello: apro la porta e mi trovo davanti una bionda alta un metro e ottanta, con i tacchi a spillo, le calze a rete, gli occhiali da sole, un vestito attillato che contiene qualcosa che mi convinco essere due noci di cocco, che mi dice “Buongiorno” con la voce di Amanda Lear dopo una tracheite cronica ostruttiva.
“Mi scusi signorina” le dico, “guardi che questa é una casa rispettabile”
“No no, sono l’amica del tuo coinquilino. Sono ospite da voi stasera”
Ohibó — mi domando — ma é questa l’amica? Ma non é che mi ha detto il cognome, e poi di nome fa ‘mano’?
Comunque la faccio entrare e cerco di farla sentire a casa propria (ad esempio tolgo dai dintorni oggetti appuntiti per evitare che possa forare) e la faccio accomodare nella stanza degli ospiti dove passa una notte russando come un rinoceronte morente con la pneumonia. La mattina dopo come da accordi sparisce (incredibile, eh! Aspettate…).
Un paio di settimane dopo il mio flatmate torna e mi dice: “Lo sai, la mia amica ha trovato lavoro! L’hanno assunta!“.
Scaccio dai pensieri immagini varie su quale meraviglioso lavoro questa personcina possa fare, e scaccio anche quelli sul colloquio sostenuto per farsi assumere, infine rispondo “bene, sono contento per lei”.
“Eh beh peró c’é un problema” (e te pareva), “comincia a lavorare lunedí ed oggi é venerdi e non ha un posto dove stare!”
“NON puó rimanere da noi”
“Ma dai, che senza cuore che sei, poverina, non vorrai lasciarla cosí in mezzo a una strada” (veramente credo che si troverebbe perfettamente a suo agio…)
“Guarda, non ho voglia di discutere, ok, puó stare, ma entro un mese deve andarsene. Oggi é il primo Settembre, quindi il primo Ottobre é la data oltre la quale deve avere liberato la stanza”
“Oh ma va benissimo!! Il primo Ottobre é perfetto, va bene grazie!”.
Nelle settimane seguenti la bionda felina si radica nella stanza degli ospiti come un immigrato clandestino al centro accoglienza: la sento di giorno parlare al telefono in continuazione con mezzo mondo, mentre di sera é mezzo mondo che sente lei russare come un camionista ubriaco dopo la festa della birra. La casa é avvolta da una perenne nebbia generata dai profumi irrespirabili e per un attimo credo di vivere a nuova Delhi. Inoltre reggiseni e mutande hanno sostituiti lucernari e plafoniere e addobbano il calorifero tipo albero di Natale.
Sono settimane di tensione: io prego che mantenga l’impegno levandosi dalle scatole come promesso, il mio coinquilino — rinomato tra i suoi amici e conoscenti per essere un maniaco sessuale, del tipo che se potesse se la farebbe con l’aspirapolvere — ovviamente ci prova spudoratamente utilizzando tattiche diverse e disparate al punto che comincio a temere possa un giorno in preda alla passione decidere di montarle la gamba come un chihuahua al suo rientro a casa.
Ad ogni modo alla fine della
Fermi tutti! Prima che raccoglitori di scommesse chiudano la valigia per fiondarsi alla velocitá della luce verso le isole Tonga dopo avere perso 100 a 1; che gli abbonati al feed RSS scaglino il laptop alla finestra in preda al rage-quit; che nonne schockate si mettano a depilare il gatto con la pinzetta della ciglia, vorrei specificare che il titolo del post fa riferimento ad un viaggio di una settimana che ho trascorso lungo il periodo pasquale per cui, tranquilli, era una vacanza (phew!).
Non che la cosa sia meno schockante, eh, che la frequenza dei miei avvistamenti in Italia sono pari a quelli di Rosy Bindi dal chirurgo estetico, peró potreste avere piacere nel sentirmi confermare che tra pochi mesi festeggerò pure sette anni a Londra (come un Brad Pitt d’annata, che almeno lui in Tibet il sole ce l’aveva).
Comunque, per spiegare: il motivo del mio viaggio é derivato dal fatto che, avendo una settimana di ferie non usufruite risalenti allo scorso anno — questo per darvi idea di che anno sia stato — ho deciso di fare il tour dei vecchi amici conosciuti tramite il blog: partendo da Londra ho preso il volo per Torino, da lí il treno per Bologna, da lí ancora a Udine, ed infine trascorso gli ultimi due giorni a Bergamo. Ovviamente l’ho venduto a mia madre come: “Mamma, torno in Italia dieci giorni!”. Povera ingenua (poi ha capito).
Comunque avete visto che bravo Oby: altro che Noel Gallagher che alla fine dei concerti esce a salutare i fans al freddo e al gelo; altro che Renato Zero che invita i sorcini a cena: io passo al livello successivo, io vengo proprio in casa vostra, mi accampo sui vostri divani, e giá che ci sono mi sbafo anche quello che avete nella dispensa e vi trascino in giro per la vostra cittá come un bambino in fase prepubescente a Gardaland quando c’é anche Justin Bieber. E non vi potete nemmeno rifiutare: io arrivo e mi attacco al campanello come un testimone di Geova con il Parkinson e non desisto fino a che non aprite.
Ad ogni modo ho avuto il piacere di esplorare meravigliose cittá che non avevo mai visitato, sopratutto con il punto di vista dei “locals” che le ha danno tutto un altro sapore: ho ad esempio minuziosamente fatto passare tutte le gelaterie e cioccolaterie piú famose di Torino, percorso il favoloso mercato di Porta Palazzo, visitato il Regio, bevuto il bicerin e fatto la pipí dove la fece anche Cavour; poi girato Bologna in lungo e in largo, gustato la famosa cioccolata di Majani, visto il triste luogo dell’uccisione di Marco Biagi, pranzato al famoso ristorante Donatello e fatto la pipí dove la fece anche Pavarotti; e poi via per le campagne Friulane dove l’aria é fresca e non fai in tempo a guardare dall’altro lato della strada che Vodafone subito ti manda il messaggio “Benvenuto in Slovenia“, mangiato la frittura di pesce a due passi dal lungomare, e poi il gelato delle dimensioni di una torcia olimpica che anche se ci sono dieci gradi basta che ci sia il sole che per un londinese é giá mezza estate.
E’ stato stupendo e ringrazio chi mi ha ospitato (che se vuole si manifesterá nei commenti) per la pazienza e la volontá di mostrarmi paesaggi e delizie che mi resteranno sempre nel cuore, assieme agli amici che me le hanno mostrate.
Infine, non sono mancati quei divertenti momenti tipicamente italici. E in questo caso come non condividerli? Cliccate sulle foto per un fantastico slideshow con commento.
Viviamo in tempi infelici. Sará perché l’Europa — e un po’ tutto il mondo occidentale — é alle prese con disastri economici, recessioni, debiti pubblici e rivolte popolari, ma ho notato negli ultimi anni un numero crescente di “notizie” sui giornali riguardanti battaglie legali che non capisco se hanno lo scopo di intrattenermi o di farmi sollevare un sopracciglio.
“L’esempio tipico delle battaglie legali frivole”, come fu giá definito all’epoca da ABC News, é probabilmente quello del 1994 della Signora Stella Liebeck che fece causa a McDonald’s per averle servito quello che il suo avvocato definí un “caffé difettoso“. Per essere chiari: “difettoso” significava “troppo caldo”: la stessa si era infatti versata sulle gambe l’intero contenuto del bicchierone procurandosi serie ustioni alle gambe. Secondo l’accusa il caffé era stato negligentemente servito alla cliente ad una temperatura di 82C, invece di una piú appropriata 65C: se infatti il caffé avesse avuto quest’ultima temperatura la povera Stella (é proprio il caso di dirlo!) avrebbe scientificamente avuto due secondi di tempo per togliersi i pantaloni ed evitare quelle brutte ustioni.
All’epoca McDonald’s dibatté che il caffé venduto da McDrive (dove era stato acquistato) doveva essere caldo poiché acquistato da motociclisti in viaggio, aggiungendo inoltre che un messaggio sulla tazza indicava chiaramente che il contenuto era molto caldo, ma il giudice decise che il messaggio non era grande abbastanza [??!] e che McDonald’s era comunque responsabile per l’80% del danno.
Lungi da me prendere le difese di McDonald’s, o mettere in discussione la decisione di un giudice, la cosa che mi duole é che casi del genere non hanno fatto altro che sollevare da allora una serie di “copie” da ogni parte del mondo, che al giorno presente hanno modificato il rapporto consumatore-negoziante con il penalizzare il consumatore stesso.
Ad esempio leggevo l’altro giorno di questo esercito di genitori infuriati con Starbucks (come con tutti gli altri coffee-shops) perché non é possibile farsi scaldare latte in biberon, o pappette per bambini: i commessi si rifiutano dichiarando che non possono farlo per motivi di “health & safety”. Ovviamente l’health & safety é soltanto uno schermo per evitare che Starbucks venga trascinata in corte sotto accusa di ustionare le bocche di milioni di bebé. Per reazione Starbucks é stata dunque trascinata in corte perché “discrimina i genitori”.
La cosa diventa piú complessa quando si guarda alla battaglia per diritti umani tra datore di lavoro ed impiegato. Se ci si mette la religione di mezzo poi c’é proprio da mettersi le mani nei capelli.
Quattro cristiani britannici si sono rivolti alla Corte Europea per i Diritti Umani dopo che il governo britannico non é intervenuto “per proteggere i loro diritti”, dopo che questi erano stati licenziati — o cambiati di ruolo — dal loro datore di lavoro:
- Una hostess nel 2006 é stata licenziata da British Airways perché si era rifiutata di nascondere il crocifisso al collo sotto richiesta del suo superiore.
- Una receptionist d’ospedale é stata spostata ad una mansione d’ufficio per lo stesso motivo.
- Un terapista di coppia é stato licenziato perché si era rifiutato di fare terapia di coppia ad una coppia dello stesso sesso.
- Un registror comunale é stato licenziato perché si era rifiutato di registrare un unione omosessuale.
Nel primo e nel secondo caso mi sono messo a sorridere: perché la discriminazione di cui le signorine si lamentavano non é esattamente verso la loro religione, quanto piú verso il loro innegoziabile desiderio di sbatterla in faccia anche a tutti gli altri. Che da un lato capisco, perché é bello sfoggiare le cose che ci piacciono: anche io amo i videogiochi e quando vado in palestra adoro indossare le magliette di Portal 2 e Metal Gear Solid — ma dall’altro quando si rappresenta un datore di lavoro.. insomma, non é che posso andare del mio capo e dirgli che discrimina verso il mio Jedismo per non permettermi di indossare la spada laser al meeting settimanale. I dress-policies ci sono per un motivo.
Nel secondo e terzo caso mi sono proprio messo a ridere. Secondo l’Istituto Cristiano “Questi casi mostrano che Cristiani con credenze tradizionali nel matrimonio sono a rischio di essere emarginati”. Quel di cui si lamentano, in sostanza, é di essere discriminati dal non poter discriminare. Poverini, deve proprio essere terribile! E pensare che questa cosa é andata veramente alla Corte Europea: i poveracci avrebbero sicuramente preferito spendere le loro giornate bevendosi un caffé caldo (di McDonald’s).
Ad ogni modo la Corte Europea ha deciso che soltanto nel primo caso i diritti del lavoratore non sono stati tutelati — giá dal 2007 British Airways ha modificato la propria policy per permettere ai propri dipendenti di indossare liberamente simboli religiosi. Ma dopotutto BA é un’azienda privata, non rappresenta un governo e la sua immagine non viene modificata da un dipendente che mostra un simbolo religioso (capito? non come essere Stati laici e mitragliare crocifissi sui muri pubblici). Nel caso della receptionist d’ospedale é stato deciso che il datore di lavoro non ha discriminato poiché ha tutelato la salute e sicurezza di infermiere e pazienti (insomma, non sia mai che non stai molto bene e ti venga un infarto a vedere Gesú Cristo).
Di tutte queste storie non so cosa pensare. Da un lato mi domando come sia possibile che se BA vola dal 1974 un caso del genere sia stato sollevato solo ora — forse vuol dire che veramente la gente passa le giornate pensando a come puó trascinare in tribunale la compagnia di turno, perdendosi in cause ridicole generate soltanto da un’arroganza innata che prima non possedevamo. Dall’altro forse mi dovrei compiacere che stiamo imparando a convivere l’un altro senza ammazzarci, sistemando le cose in maniera democratica ed accettando le decisioni dei giudici.
Ad ogni modo se ci pensate la Corte Europea é stata bilanciata: se potessi discriminare verso tutti quelli che mi stanno sul cazzo sarei pagato per non lavorare.
Temibili disadattati!
Sí, lo so, quest’anno non ho scritto un cazzo. Che volete che vi dica — sto invecchiando/ho perso l’ispirazione/ho passato troppo tempo a bere.
Peró, se avrete il piacere di unirvi alle celebrazioni natalizie disadattate (di cui trovate i dettagli piú sotto), prometto di farvi passare una serata all’insegna del divertimento ma soprattutto di avere da raccontare una meravigliosa disavventura londinese di cui per motivi di visibilitá di codesto blog non posso purtroppo scrivere pubblicamente. Quando mai vi capiterá di sentire una delle epocali disavventure londinesi di LifeofaMisfit direttamente dalla bocca dell’interessato?
Oh, i podcast! …aspetta, non ho podcast. Quindi dovere proprio venire di persona.
Ci troviamo al:
MULBERRY BUSH PUB
89 Upper Ground, Southbank, London. SE1 9PP
T: 020 7928 7940
Google Maps: http://goo.gl/maps/LvS7v
When: Saturday 15th December
From: 7pm
Tavolo prenotato a nome: Matteo
Non siate timidi, unitevi alla festa. See you there 😉
[Prima di iniziare col post: ho scritto un articolo per il blog di viaggi di Edreams Italia. Sono i miei consigli su come spendere il Natale a Londra. Lo trovate qui]
Mi sono gustato con un bel po’ di curiositá (ed un filo di divertimento) il sobbuglio generato dai giornali sull’esito del voto del synod sull’introduzione delle donne vescovo all’interno della Church of England.
Eh giá, nella Chiesa Romana Cattolica le donne non possono nemmeno dire messa, qua si dibatte di farle vescovi.
Ad ogni modo per rovinarvi subito la sorpresa vi dico che la proposta non é passata. Inizialmente la cosa non mi ha stupito; poi ho riflettuto che forse sono piú abituato a leggere dei “progressi” all’interno della Chiesa Romana Cattolica (esempio di dibattito per il progresso: “Torniamo alla messa in latino?” “No dai teniamo quella in italiano”) da non notare che la Church of England effettivamente uno sforzo per essere quasi al passo coi tempi lo fa. Ad esempio: nella CoE la donne possono essere preti giá dal 1994; nel 2003 c’é stato un vescovo omosessuale mancato (nel senso che gliel’hanno proposto ma lui ha rifiutato); non prende soldi dallo Stato perché i fedeli devono pagare per il mantenimento dei loro luoghi di culto; e cosí via.
Ad ogni modo, tornando all’argomento in questione, dalle tre diverse “camere” della Chiesa chiamate ad esprimere il proprio parere sulla questione, ci sono stati 324 voti a favore e 122 voti contrari, dunque la proposta non é stata approvata. No, non c’é errore di battitura: infatti per far passare la mozione, secondo le regole del synod, ci vogliono due terzi dei voti favorevoli in ognuna delle tre le camere: la mozione é passata largamente nelle prime due camere, mentre nella terza – nonostante ci fossero 132 a favore e 74 contrari – mancavano sei voti per superare i due terzi. Insomma (si é capito) la CoE é avanti, ma non cosí avanti.
Voi direte: non é passata, pazienza. Macché: ora arriva il bello.
Non solo il giorno seguente giornali e commentatori hanno dato a fuoco e fiamme la Church of England su quanto non sia né al passo con i tempi né con il pensiero della popolazione, ma la stragrande maggioranza degli stessi membri della CoE hanno espresso rammarico e delusione.
“Provo profonda tristezza. Ho sperato e pregato che questa particolare vicenda potesse evolvere allo stadio successivo prima del mio ritiro. Posso solo sperare che il synod sbrighi questa faccenda nel piú breve tempo possibile“: queste parole sono di Rowan Williams, arcivescovo e capo “effettivo” della CoE (metto “effettivo” tra virgolette perché la capa ufficiale ovviamente é lei).
“Giornata veramente triste, specialmente per le nostre donne preti ed i loro supporters“: queste sono le parole di Justin Welby, il futuro arcivescovo.
“Il synod sta detonando la sua credibilitá con il Regno Unito contemporaneo […] Il fatto che stiamo apparendo come dei folli agli occhi della societá é visto da alcuni come una forma di imbarazzo e da altri come una medaglia d’onore“: queste sono le parole di Lucy Winklett, una delle donne nella CoE in lista per il vescovato, dalle pagine del Guardian.
“Sono molto triste per come il voto é andato ieri. E’ importante che la CoE sia una chiesa moderna al passo con la societá, e questo era un passo in avanti che era necessario fare“: e per concludere questo era David Cameron, primo ministro (conservatore).
La ciliegina finale sono i commenti dei lettori sul sito della BBC (che é il sito con i lettori piú “bilanciati”. Vi lascio immaginare i commenti dei lettori del Guardian).
“Non so chi sia piú patetico: le donne disperate per entrare in un club che non le vuole, o i tradizionalisti convinti che la loro magia non funzioni senza un pene. Sono cosí impegnati a combattere che non si sono accorti che le chiese sono vuote“.
“Voglio sapere perché questa decisione non é illegale. Se il mio datore di lavoro decidessere che una donna non puó essere manager sarebbe trascinato in tribunale, ed a ragione“. [ovviamente la riposta é che la a CoE, come le altre religioni, é intoccata dalle norme europee, nda].
“Mi domando di questo cosa ne pensi la donna che é a capo della chiesa?” [Effettivamente…nda].
“Questo voto per escludere il 50% della popolazione dalle cariche piú alte di questa organizzazione mostra quanto irrilevanti e scadenti siano questi poveri individui“.
Esulandovi dal mio pensiero sulla religione in sé (tanto é chiaro), il mio pensiero sui diritti di uguaglianza verso minoranze é che, indipendentemente dal contesto religioso o meno, il processo ruota sempre attorno all’innato conservatorismo dell’essere umano e dalla sua paura verso il cambiamento, dunque la concessione dei diritti ad una minoranza avviene per gradi, con il lento adattamento della maggioranza al cambiamento seguendo la seguente scaletta: 1) la minoranza si rende conto di avere meno diritti degli altri 2) la minoranza chiede gentilmente di venire trattata con gli stessi diritti della maggioranza 3) la maggioranza dice di no perché non vuole che la minoranza abbia i suoi stessi ditti perché ritiene la minoranza “inferiore” 4) la minoranza comincia a protestare/manifestare/fare gran casino per ottenere i suoi diritti 6) dopo essere stati costretti a valutare e discutere sulla questione, la maggioranza si spacca in due, tra concordi e contrari 7) gli anni passano e la maggioranza diventa la “minoranza”, ossia la maggioranza é ora quella che supporta gli stessi diritti per tutti
E’ evidente a tutti che la prossima volta che ci sará un voto simile nella Church of England le donne vescovo verranno approvate. Certo capisco la rabbia per il non averlo ora quando i tempi giá sembrano maturi.
Tuttavia, care amiche della Church of England che siete davvero impazienti di entrare in questa fantastica (?) organizzazione, per tirarvi su il morale vi faccio un bel paragone: le vostre colleghe donne nella Chiesa Cattolica Romana, nella percorso per la paritá di diritti, sono tranquillamente parcheggiate alla fase zero di sette. Buona giornata.
Eccomi qua.
Manco dal blog da secoli, me ne scuso.
In questi tre mesi di assenza eventi di fondamentale rilevanza sono avvenuti ed io non ho pubblicato nemmeno un rigo. Non ho parlato delle Olimpiadi, con tutto quello che c’era da dire. Non ho nemmeno fatto una parola sul putiferio dietro all’estradizione di Abu Hamza ed i commenti della Regina resi pubblici senza il suo permesso. Non ho nemmeno nominato Julian Assange che da settimane é barricato nell’ambasciata Ecuadoregna con la sola compagnia della sua mano destra.
Ma, soprattutto — con il capo cosparso di cenere — non ho parlato delle tette di Kate Middleton.
Insomma, questo blog che ci sta a fare?
Ora tutte queste notizie sono nel passato e non c’é piú alcuno scopo nel rivangarle.
Ma effettivamente per Kate si puó fare un’eccezione.
Dunque, quel sabato sera mi presento al pub con il solito sorriso a trentadue denti di chi sta decidendo se il giorno dopo si alzerá a mezzogiorno o all’una, quando l’allegria viene assassinata all’ingresso direttamente dai miei amici britannici, che in un angolo buio stanno borbottando come due vecchi al parco che confrontano le pensioni di anzianitá: “Ma tu guarda.. ma che schifo.. ma é possibile.. é rivoltante.. é disgustoso.. certa gente.. ma non c’é proprio rispetto.. io li arresterei.. sí, in galera.. buttare la chiave.. che gentaglia.. non c’é morale.. fanno schifo.. cresciuti male.. bisogna dare la colpa ai genitori.. che societá malata..”.
Si arriva a parlare di castrazione chimica e camera a gas quando finalmente riesco a capire che si sta parlando delle foto di Kate Middleton.
“Questa gente non ha veramente dignitá, e il fotografo poi, scattare una foto ad una coppia appartata, perché mai una persona vorrebbe fare una cosa del genere [indizio: €1 milione], e poi chi le vorrá mai vedere, se nella tua vita hai bisogno di vedere certe foto devi avere dei problemi mentali, sei malato, hai carenze affettive”.
Non avrei dovuto dire nulla. Oby don’t say a word mi diceva la coscienza. Non ho resistito. L’ho detto.
“Veramente io le ho viste”.
Apriti cielo. Persino il cane del proprietario ha cominciato a guardarmi male.
“Ecco, figuriamoci, che razza di pecorone, non mi stupisco proprio, anche tu come gli altri, ma non ti vergogni, sei un pervertito, e a che scopo poi, ti piacerebbe che lo stesso succedesse a tua figlia, e poi non hai un po’ di cuore, povera Kate.. [non sono sicuro che “povera” sia un aggettivo che combacia con Kate Middleton], figuriamoci se non le guardavi, sei proprio il solito italiano, infatti il giornale che le ha pubblicate é di Berlusconi, non mi stupisco” [E qua mi incazzo].
La notizia delle tette di Kate l’hanno riportata tutti i quotidiani britannici, in prima pagina, per giorni. Fosse stata relegata ad una colonna del gossip, o al Sun, non le avrei viste semplicemente perché non avrei saputo che erano in esistenza. Invece l’impero mediatico britannico ce ne ha fatto una pubblicitá martellante. Pure aggiungendoci il “Eh, peró non ve le possiamo fare vedere. Le trovate con una ricerca su Google, ma voi non guardatele”. Come la mamma con la marmellata.
Dunque sí, sono pecorone, come lo é ogni essere umano con prodotti di cui vede la pubblicitá per giorni ed che finisce per acquistare, non perché gli servano, ma perché ce l’hanno tutti e se ce l’hai sei “cool”.
Per lo meno io prima di fiondarmi ad acquistare un prodotto ampiamente pubblicizzato ho fatto i due controlli fondamentali ossia 1) vale i soldi che costa e 2) é dannoso per la salute; e, sarete lieti di sapere, mi sono informato ed ho scoperto che le tette di Kate le potete vedere gratis e non hanno effetti negativi sulla vostra salute.
E poi santo cielo, sono solo un paio di tette. Sfocate. Prese da un km di distanza. Da sabato a domenica avró probabilmente visto un altra decina di paia di tette di altre razze e colori e di risoluzioni migliori (la banda larga di BT é molto buona, se state cercando un provider). E poi, dato il polverone sollevato dal caso in questione, che dire di tutti i vips che vengono quotidianamente fotografati senza il loro consenso dal giorno della nascita della macchina fotografica? Anche in Inghilterra ci sono giornali scandalistici; ma qua il caso in questione é nato solo perché le tette sono quelle di Kate. Quindi il problema non nasce dagli scatti di tette rubati in generale, il problema nasce dal proprietario delle tette. Insomma, ci sono classi di persone e quindi anche classi di tette. O forse ci sono classi di morale e classi di ipocrisia. Il problema vero é che certi comportamenti umani non si possono regolare sulla base della morale e del buongusto, che sono personali. Infatti la societá ha inventato le leggi. Se vuoi evitare che la gente si vada ad inculare fuori dalla porta di casa tua non puoi affidarti alla morale delle persone, ci vuole una legge che vieti atti osceni in luogo pubblico. C’é pure una legge che vieta l’omicidio: ma dai. Quindi se vuoi evitare che le tette di Kate Middleton finiscano sul giornale ci vuole una legge che tuteli la privacy. Ma non solo quella di Kate peró, di tutti. In questo caso dovrebbero essere i francesi a rendere illegare scattare fotografie a soggetti su solo privato da un suolo pubblico, perché mi sembra di capire che nel Regno Unito la legge ci sia. Poi per caritá se non si comprassero i giornalacci scandalistici i paparazzi sarebbero senza lavoro e vivremmo in un mondo migliore.
Detto questo, specifico che non ho visto le tette di Kate di mia spontanea volontá. Erano in homepage sul sito del Corriere. Non che faccia differenza. Ma vedersi paragonato ad un pervertito in un paese per qualcosa che in un altro ti viene sbattuto in faccia mi fa pensare che culturalmente le linee di morale possano davvero essere differenti. Quando Berlusconi venne fotografato con ballerine e menestrelle nella sua villa in Sardegna si scandalizzarono solamente persone sulla sua busta paga (si scandalizzó anche qualche italiano, ma per motivi lontani dalla privacy di Berlusconi).
Comunque la gente si perde proprio in piccole cose, con tutti i problemi che ci sono nel mondo di cui parlare. Magari ci sará pure qualcuno che finita la lettura conterá quante volte ho usato la parola ‘tette’ nell’articolo, cosí, solo perché é cool.
Ok, sono dodici, ora peró chiudete e passate ad altro.
Come avvenne lo scorso anno per il Royal Wedding, la Famiglia Reale é di nuovo finita sulle prime pagine dei giornali (giornali d’informazione, perché sui tabloids ci sono quotidianamente) per un evento piuttosto importante, che di ritorno é stato proiettato ai quattro lati del pianeta per la gioia e l’odio di monarchici e repubblicani.
Quest’anno infatti, dal 2 al 5 Giugno 2012, si sono tenute le celebrazioni per i 60 anni di regno della Regina Elisabetta e, come la scorsa volta, la manfrina del “adesso vi inondiamo di informazioni che non avete chiesto” é cominciata ben prima che l’evento fosse alle porte; ecco quindi che un giorno apri il giornale e ti ritrovi il menu del pranzo reale (ma qui noto che anche l’italianissimo Corriere non scherza), un altro il percorso della parata, un altro ancora la lista dei cantanti per il concerto, un altro ancora scopri la fondamentale notizia che la Regina avrá dei pesi attaccati alla sottana perché la giornata sará ventosa (effettivamente leggere questa notizia mi ha tranquillizzato un po’).
Certamente vi starete domandando se l’evento abbia dato occasione per l’accensione delle critiche e dibattiti sulla presenza della monarchia in uno Stato avanzato del mondo all’alba del 2012 DC? Ecco: no.
Qua nessuno si stanca mai della monarchia. Ancora meno sono quelli che la criticano. Persino i giornali piú liberali e progressisti come Economist, Guardian ed Independent hanno pubblicato sporadici articoli negativi — quanto piú di fredda analisi — verso simili eventi. Dei tre maggiori partiti politici in UK nessuno é contro la monarchia, ed i pochi movimenti antimonarchici sono piccoli ed in ombra.
Si penserebbe che gli anni che passano e la naturale evoluzione della societá dovrebbero dare al popolo britannico il tempo di guardarsi attorno e realizzare che la monarchia é un’istituzione vecchia e vetusta. Invece dalla morte di Lady Diana in avanti il supporto per la monarchia é sempre rimasto alto: all’alba del 2012 la percentuale di britannici contrari alla monarchia é stabile sotto il 30%.
E’ una cosa che all’estero non si comprende. Quasi tutti gli Stati Europei arrivano da una storia di monarchia che ad un certo punto é stata ‘decapitata’ (in un certo Stato proprio letteralmente) e rimpiazzata da una repubblica parlamentare di sorta: oggi si guardano indietro come se si parlasse di demoni estirpati, associati a societá retrograde ed ingiuste; non si comprende come mai l’economicamente sviluppato Regno Unito non segua l’esempio. Restano basiti quando vedono i ‘Britons’ spillare allegramente soldi per mantenere una famiglia di ricchi viziati nullafacenti — e vedere giornalisti di spicco non sollevare una critica — e forse proprio per questo osservano con curiositá notizie e reportage di questo curioso animale da circo.
Forse perché all’estero non sanno il segreto.
Il segreto é che i britannici non spillano un bel niente. Sono proprio gli stranieri che fanno andare avanti il carrozzone.
Ecco come funziona:
La famiglia reale incassa un contributo annuale dal governo — quindi dai cittadini — chiamato civil list, con il quale deve ‘mantenersi’ per un anno. Questa cifra ad oggi ammonta a £38.2 milioni, ossia 62 centesimi di sterlina per cittadino (e sono certo che per alcuni pagare 62p per vedere un anno il culo di Pippa; e l’anno dopo Robbie Williams gratis, sembrebbe giá un affare), e con questi soldi paga stipendi (il 70% del totale), manutenzione di palazzi e giardini, e spese di amministrazione.
La cosa che é forse ancor meno risaputa é che la famiglia reale genera denaro: dagli affitti dalle proprietá che possiede, dalle visite ai palazzi Reali, visite ai musei Reali etc; ma sopratutto che non si puó tenere l’incasso: i soldi generati vengono infatti restituiti alla tesoreria: circa £200 milioni ogni anno. Dopo averne usati £38.2. Ohibó, stai a vedere che la Famiglia Reale é un business?
E certo.
I Reali non sono mantenuti, si mantengono. Ci mantengono. Non bastassero i £180 milioni di attivo restituiti al governo, il denaro portato alla nazione dal turismo é incalcolabile: pensate ai curiosi che si fiondano a vedere William e Kate ad ogni spostamento, al merchandise con le immagini dei membri della famiglia reale. O pensate ai tabloids ed ai programmi TV, ai giornalisti perennemente assegnati alla Famiglia Reale, ai capi che Kate Middleton fa diventare trendy in un giorno. Non é una questione di essere monarchici o repubblicani, é una questione di senso per gli affari.
C’é poi l’aspetto di esempio morale per il paese, di immagine di unione e sicurezza: la famiglia reale é anche amata perché piuttosto moderna e vicina al popolo, insomma sono persone come noi: William e Kate fanno opere di volontariato, la Regina prende il treno per andare a visitare i nipoti, Harry si ubriaca vergognosamente e cade in una piscina; é tutta gente proprio come noi.
Difficilmente vedrete Carlo e Camilla andare in Botswana ad una imbarazzante caccia agli elefanti o, chessó, il duca di Edimburgo coinvolto in scandali legati a slot machines e prostituzione.
Al centro di tutto questo c’é lei: Betty. La colonna portante della monarchia nella societá moderna, il collante della Famiglia Reale, l’immagine di stabilitá nel corso dei decenni. Sessanta anni di Regno sono tanti, e lei ha sempre dato un immagine impeccabile di sé, dalla presenza constante a Londra durante gli anni della guerra, alla sua partecipazione attiva alla stessa, ai discorsi di conforto in momenti bui, al cantarla al ministro buzzurro che le fa girare i cinque minuti. Questo le ha meritato un’ immagine di rispetto e devozione da parte del mondo.
Oggi se la ride; scarrozzata qua e lá, si gode gli ultimi anni lieti di una vita piena di eventi. Nuove stelle come William e Kate hanno molta strada da fare per conquistare la popolaritá della buona Betty, e certamente non potranno mai raggiungere gli stessi anni di regno (anche perché, di questo passo, ce la ritroviamo anche per le celebrazioni per i 70 anni di regno). Sopratutto hanno l’incertezza di cosa succederá dopo la sua dipartita: il Commonwealth cadrá probabilmente a pezzi, molti dei suoi Stati si proclameranno indipendenti, il ‘business’ della monarchia diventerá un po’ meno globale ed un po’ piú locale. Ma lei non ha di che preoccuparsene, dopotutto il suo lavoro l’ha giá fatto.
Ad ogni modo spero di avere dato chiarito le idee a tutti quelli che si domandano perché nel Regno Unito c’é la monarchia, e perché non se ne liberano. Di certo la monarchia britannica non se ne andrá da nessuna parte per molti, molti anni.
Chiedo scusa per la recente assenza dal blog: sono stato travolto dagli eventi.
Davvero, posso dividere gli eventi degli ultimi mesi in tre categorie: brutti, bruttissimi e disastrosi.
Il trend di negativitá sembrava essersi invertito il mese scorso, quando il mio flatmate, reduce da una promozione sul lavoro, mi comunica con un grosso sorriso sulle labbra che la sua azienda lo spedirá a New York per un mese (dovevate vedere il mio di sorriso…).
Prendo la notizia come il segnale karmico che la vita sta per rientrare in carreggiata; che posso finalmente dare l’addio a settimane di acide discussioni nella vita sociale e pesanti mal di testa nella vita lavorativa; che finalmente ho ritrovato la pace con il mondo. Cosí afferro il telefono ed immediatamente organizzo gare di burlesque e bunga-bunga parties con tante minorenni e mignotte invitate a mia insaputa. Finito il giro di telefonate, mi prendo il tempo di una doccia rinfrescante — peccato che un ritornello terribilmente familiare mi faccia immediatamente notare che il destino ha ripreso la sua retta via: tick, tick, tick. Abbiamo di nuovo una perdita dal bagno. Tra le altre cose sul solito contatore dell’elettricitá (che oramai sará diventato idrofilo — alla prossima perdita sará in grado di tramutare l’acqua direttamente in elettricitá).
“Ciaooo, in bocca al lupo!” mi saluta l’infido coinquilino, uscendo dalla porta con la valigia in mano, sicuramente dolente del doversi trasferire in un misero appartamento a Manhattan con vista su Central Park tutto spesato dalla ditta per quattro settimane.
Trovatomi da solo con l’odioso grattacapo, e terrorizzato dall’idea di dovermi spostare per casa con poltrona gonfiabile e pagaya come la volta precedente, mi improvviso idraulico e tento di sistemare da solo, senza successo. Dopo ore di lacrime e rabbia mi arrendo all’idea di dovere cancellare i bunga-bunga party e le gare di burlesque e di dovere per forza chiamare lei, l’unica, l’inimitabile, la terribile landlady.
Dopo sole tre telefonate e quattro messaggi senza risposta, la divina mi grazia finalmente con una telefonata, condita ovviamente dai soliti toni calmi e pacati: “Carissimo (?? .. nda), giá ne sono al corrente che avete una perdita. Non c’é nessun problema: é tutto giá sistemato!“.
Cerco di abbandonarmi ad una mendace sensazione di sollievo, poi mi ravvedo ed ingenuamente domando: “Mi scusi — capisco che lei sia la divina ed abbia poteri paranormali — ma come puó esserne giá al corrente? Noi l’abbiamo scoperto soltanto ora..”
“Ma perché la perdita viene dal piano di sopra!” mi risponde col tono di chi parla con un ignorante, “mi hanno informato i vicini che avevano una perdita in bagno, che hanno subito isolato, ed ora é tutto risolto”.
“Ma come? Guardi che qua la perdita qua c’é ancor —”
“No, no: tutto risolto!!”
“Guardi, non per mettere in dubbio la veritá suprema, ma se le va di venire a dare un’occhiata c’é il nostro il bagno che sta pisciando acqua in soggiorno, e la perdita decisamente non viene dal piano superiore ma dal nostro bagno”.
Finalmente qualcosa entra in movimento nel suo cervello, e la possibilitá che la perdita sia interna al nostro appartamento viene finalmente considerata: “Eh.. ma insomma.. adesso devo vedere, non so, dovrei chiamare mio figlio Bob che fa l’astronomo ma si intende anche di idraulica [eh, giá, dato che sono materie cosí simili…], é che poverino é cosí impegnato, sta scoprendo nuove costellazioni, poi magari lo chiamo e non é niente di serio, insomma non lo vorrei disturbare …”
“Sí insomma, faccia lei, qua c’é il contatore dell’elettricitá che sibila come una spigola in padella ma se suo figlio riesce a trovare del tempo tra la scoperta del Bosone di Higgs e il Nobel per la scienza ci fa anche un piacere”
“Ah! Ma se il problema é elettrico allora chiamo Jeff, che fa lo scultore ma si intende anche di elettricitá…”
“Senta, invece di Bob e Jeff non é che puó chiamare un normale idraulico?”
“Eh, ma non so.. lo sai come sono gli idraulici.. non sono molto affidabili [eh giá, invece astronomi e scultori..] .. dicono di sí e poi non vengono.. e chi lo sa se ne trovo uno a quest’ora [veramente sono le nove di mattina].. e poi il telefono non mi funziona bene [com’é che io la sento benissimo?]… magari vengo prima di persona io a vedere…
Passano cosí due giorni.
Il terzo giorno (come per le scritture) mi chiama mentre sono al lavoro, giuliva come una capinera: “Tutto risolto! Ho sistemato io!”.
“Ah ok, quindi anche lei si intende di idraulica? Come ha sistemato?”
“Ho messo un po’ di pasta, vedo che tiene…”
“Santo cielo. Senta: se non chiama subito un idraulico lo chiamo io e le tolgo la somma dall’affitto il mese prossimo”.
“OK ok va bene se proprio insisiti allora lo chiamo”.
Finisce che dopo una settimana l’idraulico viene e finalmente sistema la perdita, peccato solo che tra la pulizia della moquette e lo sfrattamento delle rane il mese di pace se ne é giá andato, e con il tempo rimasto non riesco ad organizzare neanche un torneo di strip poker con qualche anziana locale che il flatmate é giá di ritorno da New York.
“Oh, dovevi vedere che spettacolo! Monolocale tutto per me, vista su Central Park: un paradiso!!”
“Oh, mi fa molto piacere che tu ti sia divertito [ma anche no]”.
“Come va la perdita? Risolta??”
“Sí, risolta…”
“Phew! [sospiro di sollievo del coinquilino che sale in camera sua senza ascoltare oltre]”
“…la cosa che mi ha irritato di piú peró é la vecchia balorda: ha farneticato per giorni di una perdita dei vicini del piano di sopra. Non lo voleva proprio capire che la perdita ce l’avevamo no–”
“OMMIODDIO!!” un urlo rompe il silenzio, “COS’E’ QUESTO??!!”
Corro al piano di sopra e trovo il coinquilino nella sua stanza che ammira un nuovo murales delle dimensioni della Guernica e dei colori del gorgonzola stagionato, ove peste e malattie varie hanno aperto un Expo dove invitare tutti i loro amici; il tutto é decorato da un meraviglioso aroma tipo fogne di Calcutta a Ferragosto, ed il letto é diventato una piastra a tampone dove il coinquilino in un attimo di disperazione si lascia morire come Ofelia.
“Ohibó, stai a vedere che la tua stanza é sotto al bagno dei vicini e la perdita ce l’avevano davvero”.
“NOO!! E’ terribile! E adesso cosa faccio?”
“Non ti preccupare: chiama la Landlady. Ti manderá uno dei suoi amici che avrá anche un’altra professione ma sicuramente sará anche esperto di pittura”.
“Dici che mi aiuterá?”
“Come no. Se sei fortunato ci mette attorno una cornice”.
La scorsa settimana, per la prima volta, ho ricevuto un complimento da un madrelingua per il mio inglese. Ammetto avevamo scambiato solo due parole (probabilmente era pure ubriaco) ma quando mi ha chiesto “where are you from?” ed io ho risposto “I’m italian” le sue parole esatte sono state “Are you? Congratulations, you’ve got a good english” (non é pervenuta la risposta alla mia successiva domanda: Do you mean in general or compared to other italians you spoke to?).
Ad ogni modo mi sono sentito fiero, e credo sia il raggiungimento di un traguardo. Sará che lavorare nove ore al giorno per cinque anni di fila in un ufficio nel quale non solo sono l’unico italiano, ma l’unico straniero, probabilmente mi ha fatto uscire un accento a bastonate; o forse sará che ho sempre detestato l’idea di essere uno di quegli italiani che pronunciano sheet uguale a shit, e peace uguale a piss, ed ho sempre fatto il possibile per integrarmi. O forse sará che ho avuto la fortuna di circondarmi di amici inglesi molto stronzi che mi prendevano per i fondelli per il fatto che pronunciavo pair uguale a pear (indizio: si pronunciano veramente uguale) quindi sono sempre stato spronato a tornare a casa e studiarmi dizionari e pronunce.
Credo che per una persona adulta imparare una lingua straniera, in generale, sia un’impresa mastodontica: questo perché, al contrario di un bambino, tutto quello che si impara lo si costruisce sulla fondamenta di una lingua originale sedimentata nel cervello da anni, quella nella quale si pensa, e per questo motivo viene difficile “sentire” il proprio accento come “sbagliato” e quindi cercare di correggerlo.
Ma persino ammettendo che non ve ne possa fregare niente di meno di avere una pronuncia corretta e vi accontentiate di farvi capire dagli altri: non vi siete mai trovati in una situazione ove nominate un termine che non é estrapolabile dal contesto? Chessó, tipo tornare in ufficio dopo due settimane ed urlare ai quattro venti “I’ve spent my holidays on a lovely beach”, ove con la pronuncia italiana beach suona come qualche cosa d’altro? Vi garantisco che la corretta pronuncia aiuta.
In alcuni casi gli inglesi stessi non si rendono conto di quali parole abbiano una pronuncia diversa e quali uguale. Ad esempio provate a leggere a voce alta questi termini: Tail/Tale; Pea/Pee; Meet/Meat; Sum/Some; Peace/Piece; Dear/Deer; Hour/Our; Here/Hear.
Riuscite a pronunciare correttamente queste coppie di parole? Magari per ogni coppia riuscite a pronunciare due parole distinte? Sí? Beh, allora sentite questa: non c’é differenza di pronuncia. Sono parole omofone, cioé si scrivono diversamente ma pronunciano uguale: Tail si pronuncia uguale a Tale, Pea uguale a Pee, e cosí via.
Chiedete la stessa cosa ad un inglese: probabilmente lo sentirete leggere le parole a voce alta prima di confermarvi che effettivamente avete ragione.
Giochi a parte, i dilemmi veri per noi stranieri sorgono quando provate a pronunciare parole come: Leave/Live; Law/Low; Cold/Called; Ear/Year; Saw/Sow; Jaw/Joe. Queste parole si scrivono e pronunciano diversamente l’una dall’altra.
Per imparare come pronunciare questi termini correttamente — nonché scoprirne i significati se ne avete bisogno — vi consiglio: Cambridge Dictionaries Online (potete ascoltare i termini letti con la corretta pronuncia inglese). Siti come Dictionary.com hanno la pronuncia americana, quindi attenti a non confondervi.
Un altro incredibile strumento é BBC Learning English, un’autentica miniera di risorse ideata attorno agli stranieri che giá vivono nel Regno Unito (mi domando se la RAI ce l’abbia un portale che insegna italiano agli immigrati per aiutare ad integrarsi?!), ad esempio riportando notizie quotidiane ma chiarendo termini che non tutti potrebbero conoscere. In particolare qua c’é la sezione dedicata alla pronuncia dei termini.
Un’ altra sezione particolare offerta dalla BBC é The English We Speak che spiega espressioni tipicamente british: capita prima o poi a tutti di sentirsi straníti quando il briton di turno ci viene a dire qualcosa come: “she’s got him wrapped around her little finger“, “you’re taking the mickey“, “she’s at thick as mince“; questa sezione della BBC cerca di spiegare alcune espressioni usate quotidianamente.
Un altro sito interessante é A guide to English Pronunciation, che aiuta ad evitare le “trappole” della pronuncia e spiega la differenza tra parole omografe ed omofone.
L’altra cosa curiosa é l’accento. Una lingua vecchia come l’inglese ovviamente ha decine di diversi accenti e dialetti, per Stato, regione o classe sociale — come evidenzia questo divertente video youtube — quindi sará normale “deviare” dal cosiddetto “received pronunciation” e lentamente assorbire una particolare pronuncia in base a chi frequentate o ascoltate quotidiamentente, il che é bello! (beh, magari cercate di non prendere il Cockney accent, che fa molto ‘working class’, a meno che non siate Michael Caine): un accento dimostra che avete vissuto nel Regno Unito, e non soltanto studiato la lingua, ed é un perfetto icebreaker perché confonde ed incuriosisce il vostro interlocutore che vorrá sapere di piú del vostro background. Se poi vivete a Manchester, a Newcastle, a Liverpool, nello Yorkshire, o in Scozia, é praticamente garantito che prenderete l’accento locale che é leggero come la bagna cauda a colazione.
Se volete migliorare il vostro inglese parlato (ma anche scritto) in generale internet é una miniera di informazioni, sia in termini di materiale serio (universitario) che “meno serio” (video su youtube), quindi mettetevi alla caccia, imparate, e condividete quello che trovate! Happy learning!
PS: Comunque vada vi prego non fate la sua fine.
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